WikiLeaks:
"Berlusconi, censura a Internet per favorire le sue televisioni"
Caso WikiLeaks, un cablo dell'ambasciatore Usa Thorne: uso privato del potere. "Il decreto Romani offrirebbe le basi per azioni legali contro chi dovesse entrare in competizione contro membri del governo". "Così si azzittisce la concorrenza politica"
di VINCENZO NIGRO
ROMA - "Così Berlusconi vuole censurare Internet" per "favorire le proprie imprese" commerciali e azzittire "la concorrenza politica". Gli ultimi due cablogrammi dell'ambasciatore Usa a Roma David Thorne diffusi da WikiLeaks, riferiscono le critiche, le perplessità e i sospetti dell'amministrazione Usa sulla "legge Romani". È il decreto anti-Internet che il governo italiano voleva far passare tra fine 2009 e inizio 2010. In un cablogramma del 3 febbraio 2010, Thorne sintetizza: "la legge darà possibilità di bloccare o censurare qualsiasi contenuto", e "favorirà le imprese di Silvio Berlusconi di fronte ai suoi competitor". La conferma, secondo l'ambasciatore, di un "modello di business familiare in cui Berlusconi e Mediaset hanno usato il potere del governo in questo modo sin dai tempi del primo ministro Bettino Craxi".
Thorne spiega al Dipartimento di Stato che "la legge sembra scritta per dare la governo il potere di censurare o bloccare qualsiasi contenuto di Internet se il governo lo ritiene diffamatorio o che alimenti attività criminali". Il decreto "offrirebbe le basi per intraprendere azioni legali contro le organizzazioni di mezzi di comunicazione che dovessero entrare in competizione politica o commerciale contro membri del governo". Nel telegramma Thorne ricorda che da anni gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sul governo italiano perché approvi leggi che evitino conseguenze legali per chi opera su Internet: "Finora l'Italia ha fatto molto poco", e adesso "con questa legge salta ogni collaborazione e anzi propone una regolamentazione molto dura". Thorne, che era stato al fianco di John Kerry e dello staff di Obama nell'uso di Internet nella campagna elettorale americana del 2008, dice che la legge italiana potrebbe "essere un precedente per Paesi come la Cina, che potrebbero copiarla o portarla a giustificazione dei propri attacchi contro la libertà di espressione". Per Antonello Busetto, una fonte confindustriale ascoltata dall'ambasciata Usa, questa legge "potrebbe significare la morte di Internet in Italia".
Inoltre dirigenti di Sky-tv in Italia confermano all'ambasciata Usa che la legge Romani avrebbe "offerto molti vantaggi commerciali a Mediaset, la televisione del primo ministro, rispetto a Sky, uno dei suoi principali competitori". Questi dirigenti "confermano il ruolo di Romani come leader all'interno del governo per aiutare Mediaset a mettere Sky in una situazione di svantaggio". L'ambasciata Usa spiega a Washington che tra l'altro il governo vorrebbe obbligare gli Internet provider come YouTube o Blogspot "a diventare responsabili del contenuto che pubblicano così come lo sono le televisioni", cosa "impossibile sia dal punto di vista economico che da quello pratico". E "dato che la legge prevede di rendere passibili di diffamazione sia i siti d'opinione che gli Internet provider, alcuni la vedono come un modo per controllare il dibattito politico su Internet". Inoltre, aggiunge Thorne, "vista da una prospettiva commerciale, la norma diretta a limitare i video e le televisioni disponibili su Internet aiuta Mediaset mentre la società del premier esplora il mercato della televisione via Internet".
L'ambasciatore scrive ancora che l'authority italiana per le comunicazioni, l'Agcom, avrebbe il potere di bloccare i siti non italiani e di "imporre multe fino a 150 mila euro alle compagnie straniere: l'Autorità in teoria è indipendente, ma molti temono che non sia sufficientemente forte per resistere alle pressioni politiche". Thorne conclude, ricordando che il governo ha già preso diverse iniziative per controllare le reti sociali di Internet, "inclusa l'infame intenzione di esigere che i blogger debbano avere la licenza di giornalisti, che viene concessa dal governo".
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