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lunedì 27 dicembre 2010

Photoshopped Food



Sempre più spesso gli artisti amanti della tecnologia utilizzano Photoshop per rendere il cibo più piacevole allo sguardo.
In internet abbiamo diverse testimonianze in questo senso.


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mercoledì 22 dicembre 2010

Svaligiata casa virtuale, denuncia



Si era costruita la sua casetta su Facebook arredandola con l'idromassaggio e le conchiglie, il divano di marca e il tavolo da biliardo. E se l'è ritrovata vuota. Così Paola Letizia, 44 anni, di Palermo, ha sporto denuncia dopo che un ladro virtuale le ha letteralmente svaligiato la casa e la Procura di Palermo ha aperto un'indagine reale contro l'hacker che si è introdotto nell'abitazione per portarsi via tutti gli arredi.

La donna, che lavora al Pubblico registro automobilistico del capoluogo siciliano, si era sistemata la sua casa con uno dei giochi Facebook più praticati, "Pet society". Il suo appartamento Paola se l'era attrezzato con un'attenta ricerca nei negozi online, scegliendo accuratamente in lunghi ed elaborati shopping-tour nell'universo virtuale della Rete. E, dopo aver costruito il suo "capolavoro", se l'è ritrovato completamente distrutto in un batter d'occhio. Naturale che si sia sentita defraudata, senza il suo acquario, la parete attrezzata, gli specchi, i quadri sui muri, i tappeti e le tende.
Ecco dunque la denuncia, seguita dall'avvio dell'indagine. Adesso la polizia postale, come raccontano alcuni quotidiani, è la caccia del pirata che si è introdotto nell'account di posta elettronica della donna e le ha svaligiato'la casa virtuale. Se anche l'abitazione esiste solo sul social network, la protagonista la considera un'autentica proprietà. Erano sette stanze arredate in stile moderno con un gatto, anch'esso virtuale, che lei aveva chiamato Blue Cat, e che è rimasto solo nella grande casa vuota. Il ladro virtuale infatti ha lasciato alla padrona soltanto il micio.
Il pm Marco Verzera aveva chiesto l'archiviazione del caso, ma i legali si sono opposti e il gip Fernando Sestito ha imposto la continuazione delle indagini per "introduzione abusiva e aggravata" nella corrispondenza elettronica e nelle attività ad essa collegate: un reato punito con l'articolo 615 e che prevede una pena da uno a cinque anni. All'impiegata hanno rubato la password e violato l'account di posta elettronica, passaggio obbligato per andare alla casetta di Pet Society. Insomma, si tratta di un vero e proprio furto, perché l'hacker ha lavorato per ore per raggiungere il suo scopo, proprio come fanno i topi d'appartamento. "Per arredare la casa bisogna frequentare negozi virtuali - spiega Paola Letizia - di arredamento, abbigliamento, per articoli da regalo". Insomma, un lungo lavoro di ricerca andato perso. Che adesso Paola Letizia vuole vedere, in qualche modo, risarcito. 


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martedì 14 dicembre 2010

WikiLeaks , Berlusconi, censura Internet per favorire le sue televisioni



WikiLeaks:
"Berlusconi, censura a Internet per favorire le sue televisioni"


Caso WikiLeaks, un cablo dell'ambasciatore Usa Thorne: uso privato del potere. "Il decreto Romani offrirebbe le basi per azioni legali contro chi dovesse entrare in competizione contro membri del governo". "Così si azzittisce la concorrenza politica"

di VINCENZO NIGRO

ROMA - "Così Berlusconi vuole censurare Internet" per "favorire le proprie imprese" commerciali e azzittire "la concorrenza politica". Gli ultimi due cablogrammi dell'ambasciatore Usa a Roma David Thorne diffusi da WikiLeaks, riferiscono le critiche, le perplessità e i sospetti dell'amministrazione Usa sulla "legge Romani". È il decreto anti-Internet che il governo italiano voleva far passare tra fine 2009 e inizio 2010. In un cablogramma del 3 febbraio 2010, Thorne sintetizza: "la legge darà possibilità di bloccare o censurare qualsiasi contenuto", e "favorirà le imprese di Silvio Berlusconi di fronte ai suoi competitor". La conferma, secondo l'ambasciatore, di un "modello di business familiare in cui Berlusconi e Mediaset hanno usato il potere del governo in questo modo sin dai tempi del primo ministro Bettino Craxi".



Thorne spiega al Dipartimento di Stato che "la legge sembra scritta per dare la governo il potere di censurare o bloccare qualsiasi contenuto di Internet se il governo lo ritiene diffamatorio o che alimenti attività criminali". Il decreto "offrirebbe le basi per intraprendere azioni legali contro le organizzazioni di mezzi di comunicazione che dovessero entrare in competizione politica o commerciale contro membri del governo". Nel telegramma Thorne ricorda che da anni gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sul governo italiano perché approvi leggi che evitino conseguenze legali per chi opera su Internet: "Finora l'Italia ha fatto molto poco", e adesso "con questa legge salta ogni collaborazione e anzi propone una regolamentazione molto dura". Thorne, che era stato al fianco di John Kerry e dello staff di Obama nell'uso di Internet nella campagna elettorale americana del 2008, dice che la legge italiana potrebbe "essere un precedente per Paesi come la Cina, che potrebbero copiarla o portarla a giustificazione dei propri attacchi contro la libertà di espressione". Per Antonello Busetto, una fonte confindustriale ascoltata dall'ambasciata Usa, questa legge "potrebbe significare la morte di Internet in Italia".



Inoltre dirigenti di Sky-tv in Italia confermano all'ambasciata Usa che la legge Romani avrebbe "offerto molti vantaggi commerciali a Mediaset, la televisione del primo ministro, rispetto a Sky, uno dei suoi principali competitori". Questi dirigenti "confermano il ruolo di Romani come leader all'interno del governo per aiutare Mediaset a mettere Sky in una situazione di svantaggio". L'ambasciata Usa spiega a Washington che tra l'altro il governo vorrebbe obbligare gli Internet provider come YouTube o Blogspot "a diventare responsabili del contenuto che pubblicano così come lo sono le televisioni", cosa "impossibile sia dal punto di vista economico che da quello pratico". E "dato che la legge prevede di rendere passibili di diffamazione sia i siti d'opinione che gli Internet provider, alcuni la vedono come un modo per controllare il dibattito politico su Internet". Inoltre, aggiunge Thorne, "vista da una prospettiva commerciale, la norma diretta a limitare i video e le televisioni disponibili su Internet aiuta Mediaset mentre la società del premier esplora il mercato della televisione via Internet".



L'ambasciatore scrive ancora che l'authority italiana per le comunicazioni, l'Agcom, avrebbe il potere di bloccare i siti non italiani e di "imporre multe fino a 150 mila euro alle compagnie straniere: l'Autorità in teoria è indipendente, ma molti temono che non sia sufficientemente forte per resistere alle pressioni politiche". Thorne conclude, ricordando che il governo ha già preso diverse iniziative per controllare le reti sociali di Internet, "inclusa l'infame intenzione di esigere che i blogger debbano avere la licenza di giornalisti, che viene concessa dal governo".

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lunedì 13 dicembre 2010

Facebook ha chiuso la pagina del popolo viola


Facebook ha chiuso la pagina del popolo viola. 

E’ regime




 NUOVO BLOG VIOLA

 http://violapost.wordpress.com/2010/12/13/facebook-ha-chiuso-la-pagina-del-popolo-viola-e-regime/

Senza alcuna motivazione, Facebook ha oggi chiuso la pagina nazionale del popolo viola e bannato gli account degli amministratori. Tutto questo alla vigilia del voto di fiducia a Berlusconi e mentre, negli ultimi giorni, la nostra campagna di informazione era tutta rivolta al mercato dei voti in atto alla Camera e alle manifestazioni di domani contro il governo. E’ un atto di censura gravissimo che qualifica Facebook come strumento dei regimi. Chiediamo la riapertura immediata degli account e di una pagina che era ormai il punto di riferimento di centinaia di migliaia di cittadini e il centro propulsore di tante mobilitazioni a difesa della Costituzione e contro il regime, chiediamo alle forze politiche e democratiche del Paese di intervenire per ripristinare la legalità costituzionale. Ci opporremo in ogni sede, politica e giudiziaria, contro questo atto illiberale.

FIRMA L’APPELLO


Il popolo viola


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venerdì 10 dicembre 2010

Ecco come drogano le nostre menti



Ecco come drogano le nostre menti

La manipolazione mediatica ormai non ha confini. Il consenso politico e quello d'opinione è regolato attraverso ben precise strategie mediatiche che si appoggiano su 10 regole di base. Noam Chomsky ci aiuta a svelare l'inganno
In questi giorni di forte instabilità politica si riaccendono i toni e si rimescolano i temi che hanno animato il calderone mediatico degli ultimi 15 anni: sicurezza, giustizia, economia, tradimento, sesso. Nel nostro Paese succede che molti ingenui continuino ad esempio a meravigliarsi delle boutade del presidente del Consiglio, limitandosi a bollare barzellette e proclami del premier brianzolo come uscite inammissibili, senza considerare quanta macchinazione logica stia dietro ad ogni singola affermazione. Un meccanismo ben oliato a cui fanno ricorso non solo uomini politici, ma esperti di marketing e uomini di potere in genere. Un noto studioso di linguistica come Noam Chomsky ha stilato una lista di 10 regole, che vengono utilizzate per drogare le menti, ammaliandole, confondendo in loro ogni percezione, rimescolando realtà e fantasia, evidenza e costruzione illusoria. Ecco quali sono:

1-La strategia della distrazione

L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico di interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. “Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2- Creare problemi e poi offrire le soluzioni

Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3- La strategia della gradualità

Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4- La strategia del differire

Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e per accettarlo rassegnato quando arriverà il momento.

5- Rivolgersi al pubblico come ai bambini

La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quanto più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6- Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione

Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette di aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre determinati comportamenti….

7- Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità

Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. “La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia, e rimanga, impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8- Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità

Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9- Rafforzare l’auto-colpevolezza

Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10- Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano

Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

Fonte: Res Marche
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giovedì 9 dicembre 2010

Il fondatore di Facebook: “Voglio donare tutto in beneficenza”

Il fondatore di Facebook: “Voglio donare tutto in beneficenza”

Mark Zuckerberg si è appena giunto alla lista di miliardari che si sono impegnati a dare via la maggior parte della loro ricchezza per opere di carità.

Lo riporta il Wsj, Mark Zuckerberg, il miliardario fondatore del social network Facebook Inc. ha deciso di dare la maggior parte del suo patrimonio in beneficenza, andando a mark zuckerberg1 Il fondatore di Facebook: Voglio donare tutto in beneficenzariempire le fila di un più ampio gruppo di ricchi imprenditori divenuti filantropi dopo aver accumulato ingenti ricchezze.

GIVING PLEDGE - Oltre a Zuckerberg, il fondatore di AOL Steve Case e l’ investitore Carl Icahn hanno appena firmato il “Giving Pledge” che chiede ai suoi firmatari di impegnarsi pubblicamente a dare via la maggior parte della loro ricchezza. Il 26enne è uno dei 16 nuovi miliardari al pegno, che attualmente ammonta a più di 50 donatori. I loro impegni si uniscono a quelli assunti da persone agiate tra cui Larry Ellison fondatore di Oracle Corp., il regista George Lucas e il sindaco di New York Michael Bloomberg. La promessa è uno sforzo organizzato da Bill Gates e Warren Buffett per convincere il mondo ricco ad accrescere le proprie donazioni.

DONATORE DELL’ANNO - Mr. Zuckerberg, che fondò Facebook nel dormitorio dell’Università di Harvard prima di abbandonare il college e di lavorare a tempo pieno ai suoi affari in California, è uno dei più giovani miliardari del mondo, per un patrimonio del valore stimato intorno ai 6,9 miliardi di dollari, secondo Forbes. Ma poiché la sua ricchezza è parte della quota di proprietà di una società che deve ancora essere inserita nel mercato azionario, è comunque in gran parte teorica. Mr. Zuckerberg è emerso come uno dei maggiori donatori quest’anno. Nel mese di settembre, ha fatto il suo primo grande dono caritatevole, promettendo al “The Oprah Winfrey Show” 100 milioni di dollari per scuole pubbliche a Newark.

DONAZIONI COLPITE DALLA CRISI - Molti dei “signori del pegno” aveva già previsto di erogare la loro ricchezza e la maggior parte di essi sono già coinvolti in opere di filantropia. Non è chiaro se il Giving Pledge abbia incoraggiato a donare di più. Nel complesso, anche le donazioni sono state duramente colpite dalla debolezza dell’economia. Negli Stati Uniti sono scese del 3,6% a 303,75 miliardi dollari l’anno scorso, in calo rispetto ai 315 miliardi dollari del 2008 secondo Giving USA. Nicolas Berggruen, 48 anni, ha detto che ha deciso di dare via la sua fortuna mentre era in vita in modo da poter assumere personalmente la responsabilità per come verrà utilizzato il suo denaro.”La ricchezza è un vantaggio, ma è anche una responsabilità francamente“, ha detto in un’intervista. Anche il co-fondatore di facebook, Dustin Moskovitz, che attualmente sta lavorando in una società chiamata Asana, ha firmato il “pegno”.

di Teresa Scherillo (makia)


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lunedì 6 dicembre 2010

ECCO IL CADAVERE DI YARA , BUFALA CHOC SU FACEBOOK



ECCO IL CADAVERE DI YARA , 

BUFALA CHOC SU FACEBOOK


In gergo si chiama 'cowjacking', ed è una delle pratiche più fastidiose e comuni nello stesso tempo su Facebook. Si tratta di pagine 'esca', bufale che attirano utenti a dare il proprio 'like' e a condividere la pagina sulla propria bacheca. Dopo le bufale del video hard di Belen, quella delle foto del cadavere di Sarah Scazzi e mille altre ancora, anche la povera Yara Gambirasio non è stata risparmiata dalla fastidiosa pratica di spam, che sebbene non comporti alcun rischio di virus o malware nel pc degli utenti, è senza dubbio di cattivo gusto. Si chiede di cliccare su 'mi piace' e di condividere poi il link sulla propria bacheca, ma alla fine non c'è nulla da vedere: anche in questo caso, come anche in molti altri, la pagina si limita a sfruttare la curiosità morbosa dell'utente. Ciò che sorprende è, piuttosto, il fatto che molti internauti, nonostante questa pratica si ripeta ciclicamente su qualsiasi argomento, continuino comunque a 'cascarci', solo per la curiosità di verificare se le presunte foto o video ci siano o meno.


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mercoledì 1 dicembre 2010

Google indagato per abuso di posizione dominante

 

Google indagato per abuso di posizione dominante



La Commissione Europea ha aperto un fascicolo per approfondire la posizione del gigante di Mountain View e delle sue attività nel vecchio continente. Più precisamente, sarebbe al vaglio della commissione un'ipotesi di abuso di posizione dominante.
Lo scopo della Commissione è quello di vigliare sui mercati al fine di garantire la libera concorrenza tra gli operatori e di verificare che non esistano aziende in grado di ostacolarla mediante posizioni di monopolio di fatto come, stando all'accusa di alcune aziende europee, quella di Google.
In sostanza Big G viene accusato di avere un predominio tale nelle ricerche on-line da poter esercitare, di fatto, pressioni sulle scelte dei consumatori a beneficio di taluni ed a scapito di altri. Più precisamente, i tecnici della Commissione Europea dovranno valutare gli algoritmi di ranking che determinano il posizionamento delle pagine web nelle queries di ricerca al fine di verificare l'eventuale presenza di anomalie in grado di alterare il normale flusso dei risultati a scapito di taluni siti web che si ritengono danneggiati.
Se le accuse trovassero conferma, Google - che sin'ora ha mostrato un atteggiamento assolutamente collaborativo - potrebbe ritrovarsi costretta al pagamento di un maxi risarcimento per miliardi di euro.

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sabato 27 novembre 2010

Il grande inganno dei domini costosi ( Sex.com )

Questo riepilogo non è disponibile. Fai clic qui per visualizzare il post.

martedì 23 novembre 2010

Wi-fi tra sicurezza e libertà




Wi-fi tra sicurezza e libertà


Nel 2005, il decreto Pisanu ha messo fuori legge le reti wi-fi ad accesso anonimo. L’opposizione alla norma è cresciuta nel tempo, tanto da essere oggi bi-partisan. La soluzione indicata da molti è quella dell'abrogazione tout-court e forse già la settimana prossima il Consiglio dei ministri ne sancirà il superamento. Snellire le procedure che oggi rendono oneroso lo scambio tra sicurezza e accesso è senz’altro necessario. Tuttavia, non basta per arrivare a una diffusione più capillare della rete wi-fi nel nostro paese. Vediamo perché.

I COSTI E I BENEFICI DEL DECRETO PISANU

Sulle reti wi-fi, il decreto Pisanu stabilisce sostanzialmente due cose: impone a chi volesse offrire l’accesso wi-fi di richiedere un’apposita autorizzazione scritta al questore e dispone che i gestori raccolgano i dati anagrafici di tutti coloro che si collegano alla rete. Molti gestori raccolgono i dati a mano rendendo la procedura macchinosa. È innegabile che questi vincoli abbiano comportato tanto dal lato dell’offerta, quanto dal lato della domanda, un significativo aumento dei costi transattivi. D’altra parte, le problematiche di sicurezza permangono: un accesso completamente anonimo può rendere più facile la vita a chi utilizza la rete per scopi non legali. Terrorismo, pedopornografia, violazioni del copyright sono tra questi e i numeri forniti dal ministro Maroni durante il question-time del 27 ottobre non possono essere ignorati. La commissione di questi reati può oggi essere sempre tracciata indipendentemente dal fatto che l’accesso avvenga attraverso reti 3G, adsl o, come nel caso del decreto, wi-fi. L'abolizione delle norme incriminate consentirebbe l’anonimato alle sole connessioni effettuate via wi-fi. Dunque, oltre a creare potenziali problemi di deterrenza e sicurezza, potrebbe finire per generare effetti distorsivi sulla domanda di connessione internet.
Gli oppositori al decreto Pisanu ritengono che le “ragioni della rete” siano più forti di quelle relative alla sicurezza. Ma a ben vedere, sempre nel rispetto del decreto, una apposita circolare del ministero dell’Interno, permette già oggi di adottare meccanismi di tracciamento e autenticazione ai quali sono associati costi transattivi trascurabili. Si può operare una registrazione online da remoto dando un numero di cellulare o una carta di credito e creare un account tracciabile in meno di un minuto. Questi sistemi sono in commercio a costi contenuti. Una loro adozione più capillare, tuttavia, costituisce una condizione necessaria per lo sviluppo della rete wi-fi, ma non sufficiente.

BARRIERE NASCOSTE

Si possono classificare tre tipi di reti wi-fi: a) rete chiusa privata; b) rete aperta e anonima; c) rete aperta non anonima. Il decreto Pisanu ha sostanzialmente messo fuori legge il secondo tipo. Tuttavia, nella maggior parte degli altri paesi, l’utilizzo diffuso del wi-fi è dovuto all’affermazione delle reti di terzo tipo. Si tratta di soluzioni aperte che necessitano però di una registrazione on-line e spesso anche di un pagamento (ad esempio, carta di credito, coupon, skype access). Il vantaggio di queste reti è che sono sicure, estese sul territorio, diffuse nelle strade e affidabili. Ce ne sono persino alcune gratuite in Italia: ad esempio a Roma, a Trento e a Reggio Calabria. Funzionano tutte con sistemi di autenticazione veloce, ancorché rispettosi del decreto Pisanu. Ma sono poche e crediamo sia proprio la mancanza di queste reti che determina il divario con gli altri grandi paesi lamentato dai critici del decreto. Ed è del tutto evidente che non sono le disposizioni sulla tracciabilità previste dal decreto a limitarne la diffusione.
Esistono, infatti, altre barriere rilevanti che impediscono oggi il decollo di reti aperte non anonime. Ne ricordiamo tre che rendono difficile la collocazione degli apparati. La prima riguarda l’iter autorizzativo per l’installazione delle antenne. Se le cose al ministero delle Comunicazioni sembrano ora funzionare bene, altrettanto non si può dire per i regolamenti regionali o comunali. Antenne che in alcune città possono essere installate senza problemi, richiedono processi di autorizzazione lunghissimi o impossibili in altre.
Un secondo problema regolatorio è legato alla tariffazione dell’energia elettrica. La cosa migliore sarebbe installare le antenne su semafori e lampioni perché lì vi sarebbe buona copertura delle strade e soprattutto la presenza di elettricità per alimentare gli apparati. Ebbene, insormontabili - almeno fino ad ora - problemi regolatori legati alle tariffe agevolate per l’illuminazione pubblica impediscono di prelevare la corrente necessaria a meno di non installare un contatore per ogni antenna.
A questo si aggiunge poi un pregiudizio diffuso sulla presunta pericolosità delle emissioni di radiofrequenze. Non entriamo nell’argomento, ma rinviamo in proposito alle pacate linee guida dell’inglese Health Protection Agency.
Insomma, il dibattito sul decreto Pisanu da un lato poggia su un fraintendimento relativo ai costi transattivi, che invece possono essere sensibilmente ridotti adottando tecnologie di autenticazione già disponibili. Dall'altro, tende a sottovalutare il ruolo svolto da altre rilevanti barriere all’entrata. Un suo superamento richiederebbe quindi di eliminare le inutili richieste di autorizzazione al questore per i gestori delle reti; mantenere il sistema di accreditamento promuovendone l’applicazione attraverso i sistemi remoti; snellire e uniformare le procedure di installazione delle antenne (compresa la questione tariffaria per l’energia prelevata da punti quali i lampioni e i semafori); esprimere una parola autorevole circa l'innocuità per la salute di questa tecnologia.
Questa strategia potrebbe risolvere il trade-off tra sicurezza e accesso e generare una concreta possibilità di sviluppo per le reti Ww-fi anche in Italia.

di Antonio Nicita, Matteo Rizzolli

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sabato 20 novembre 2010

Chi c'è dietro i cartoni animati sui profili Facebook




Chi c'è dietro i cartoni animati sui profili Facebook? Il gruppo "Camorra and Love"


Volete sapere chi c'è dietro la campagna "Cambia l'immagine del tuo profilo in quella di un cartone animato" che sta spopolando su Facebook? Un gruppo che si chiama Camorra and Love. Postando stupidaggini a nastro tra aforismi, frasi melense e immagini di Harry Potter, ha messo insieme l'allucinante cifra di 850mila fan. E' stato questo gruppo a spingere la campagna virale sui cartoni animati per l'infanzia: dall'alto del suo "monte-fan" questo gruppo - composto da moltissimi minorenni, ma non si sa da chi sia gestito - può da solo creare una campagna virale.

In realtà, il creatore dell'evento legato al cambio dell'immagine del profilo di Facebook con un cartone animato, è un tizio che dice di chiamarsi Alessandro Schultz Loi e di essere di Cagliari, ma si tratta di un profilo chiusissimo, al quale non si può neanche richiedere l'amicizia: chi è questo Schultz sardo? Chi si nasconde dietro questa campagna "per i diritti dell'infanzia" che non ha alcun collegamento con le serie associazioni che di questo si occupano?

Insomma, chi c'è dietro a questa campagna non è dato sapere: quello che è certo è che sta avendo un successo clamoroso (c'è chi parla addirittura di 500mila profili di cartoni animati, ma una stima è difficile). Il motivo probabilmente è da ricondurre all'aspetto ludico unisce quello retrò ed emozionale legato ai personaggi dei cartoni che hanno accompagnato la nostra infanzia. La campagna infatti sta contando numerosi aderenti nella fascia 25/40 quella forse più nostalgica verso i cartoni animati che non ci sono più e verso un'infanzia da poco abbandonata per sempre.

Resta infine da chiarire questo gruppo dal nome aberrante: Camorra and Love. Chi c'è dietro questo gruppo che ha "arruolato" centinaia di migliaia di minorenni? Perchè ha scelto un nome del genere? Aspettiamo una risposta dal moderatore.


TROVO L'INIZIATIVA DI CAMBIARE LA FOTO SU FACEBOOK E METTERE
UN PERSONAGGIO DEI CARTONI ANIMATI , MOL...TO PERICOLOSA PER I BAMBINI ..CHE
STANNO SU FACEBOOK. O RAGAZZINI.
A PARTE CHE SI RISCHIA LA SEGNALAZIONE PER FOTO INAPPROPRIATA , E' COME DARE LA
POSSIBILITA ' AI PEDOFILI DI ADESCARE UN BAMBINO CAMUFFANDO LA LORO FO...TO CON
UN PERSONAGGIO DEI CARTONI ANIMATI..FATE PRESENTE QUESTA COSA
SU FACEBOOK L'INIZIATIVA E' PARTITA DAL GRUPPO <
PER SEMPRE..

TOGLIETE IMMEDIATAMENTE LA FOTO DEL PERSONAGGIO DEI CARTONI ANIMATI.. E' PER
ATTIRARE I BAMBINI NELLE MANI DEI PEDOFILISTATE FACENDO IL LORO GIOCO..Foto
bachecaattenzione a tutti chi ha tirato fuori la storia della settimana contro
la viole......nza sui bambini e l...e donne , invitandovi a cambiare la vostra
foto.. si... ch...iama CAMORRA E AMORE..MA VI RENDETE CONTO DEL PERICOLO AL QUALE ESPONETE I
BAMBINI SU FACEBOOK GUARDATE IL GRUPPO CHE LO FA GIRARE IL LINK DI
METTERE LA FOTO DEI CARTONI.. CAMORRA E AMORE
REGNA PER SEMPRE http://www.facebook.com/pages/CamsaaaAiLsne/267303346054LA
GIORNATA PER L'INFANZIA VUOLE SOLO UN FIOCCO GIALLO DA CONDIVIDERE IN BACHECA .http://www.ong.agimondo.it/un-fiocco-giallo-per-linfanziaMostra
tuttoFoto bachecaattenzione a tutti chi ha tirato fuori la storia della
settimana contro la violenza sui bambini e l...e donne , invitandovi a cambiare
la vostra foto.. si chiama CAMORRA E AMORE..

?http://www.facebook.com/pages/CamsaaaAiLsne/267303346054ECCO
CHI HA PROMOSSO DI CAMBIARE LA FOTO LA SETTIMANA DELL'INFANZIAPROMOSSA DA
CAMORRA E AMORE http://www.facebook.com/notes/camsaaaailsne/settimana-dellinfanzia-3/482561334112
Mostra tutto
http://www.facebook.com/pages/CamsaaaAiLsne/267303346054LA
www.facebook.com

LA GIORNATA PER L'INFANZIA VUOLE SOLO UN FIOCCO GIALLO DA
CONDIVIDERE IN BACHECA..
COSI' E' REGOLARE
ALTRIMENTI SI RISCHIA LA SEGNALAZIONE PER FOTO DEL PROFILO INAPPROPRIATA..
ANCHE IL BLOCCO DELL'ACCOUNT ..
MA IL PERICOLO MAGGIORE CONSISTE NEL DARE LA POSSIBILITA' A QUALCHE PEDOFILO DI
INFILTRARSI TRA GLI AMICI DI UN RAGAZZINO, ANCHE SE NON DOVREBBERO ESSERCI SU
FB.. MA SAPPIAMO CHE CI STANNO.. A VOLTE ANCHE SOLI
FATE PRESENTE LA COSA.. SUI GIORNALI E SUI MEDIA

FAI GIRARE LA NOTA OPPURE SE HAI OCCASIONE DI FAR PUBBLICARE
SU QUALCHE GIORNALE .. DI VIETARE.. L'USO DI FOTO FALSE SU FACEBOOK SPECIE IN
QUESTA OCCASIONE DI FOTO DI PERSONAGGI DEI CARTONI ANIMATI

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venerdì 12 novembre 2010

Web Libero , un altro passo indietro

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Web Libero , un altro passo indietro


Giusto pochi giorni fa quelli di Reporter senza frontiere – sicuramente dei comunisti e dei fabbricanti di odio – hanno pubblicato il loro rapporto 2010 sulla libertà di stampa, che vede il Belpaese al 49° posto insieme al Burkina Faso, parecchie posizioni dopo il Ghana e il Mali.
Evidentemente non soddisfatti del piazzamento – in fondo siamo ancora sopra la Mongolia e il Malawi – quelli dell’Agcom ieri hanno pensato bene di imporre una serie di nuovi obblighi e di nuove tasse per chi fa radio e video on line.
Le web radio dovranno fare una ‘dichiarazione di inizio attività’ e pagare un ‘costo di autorizzazione’ (!) di 750 euro. Il doppio per le web tv con palinsesto.
Il tutto è frutto del decreto Romani, una delle ultime porcate dell’ex viceministro berlusconiano prima di essere promosso allo Sviluppo.
Insomma, con una mano il governo fa credere in giro di aver liberalizzato il WiFi, e purtroppo è una balla. Con l’altra mano, soffoca l’emissione audio e video via web, e purtroppo non è una balla.


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Addio alle web radio e tv libere in Italia


Addio alle web radio e tv libere in Italia

L’Agcom ha approvato un documento che prevede una tassa (fino a 1.500 euro) per mettere in piedi un canale on-line. E il peggio non sembra finito…


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Diamo addio alle web radio libere, sgravate da oneri burocratici e autorizzazioni. Dovranno fare unadichiarazione di inizio attività e pagare un costo di autorizzazione pari a 750 euro. Che sale a 1.500 euro per le web tv lineari (cioè con palinsesto). È l’effetto di un provvedimento approvato ieri sera daAgcom (Autorità garante delle comunicazioni), a cui spetta il compito di trasformare in regolamento attuativo il decreto Romani sui servizi media audiovisivi. Nella stessa riunione di consiglio, Agcom doveva stabilire anche una prima bozza di regole per potenziare la lotta alla pirateria (sempre sulla scorta del Romani), ma ne ha rinviato la discussione. Meno male: il testo su cui Agom si stava orientando ipotizzava misure di severità inaudita, per oscurare siti e bloccare il peer to peer.

Web radio e web tv lineari
Alla fine il testo approvato su web radio e web tv lineari alleggerisce gli obblighi che si leggevano nellabozza di regolamento, criticata dai soggetti interessati. Il costo per l’autorizzazione indicato prima era infatti di 3mila euro. Dovranno inoltre presentare solo una Dia, dichiarazione di inizio attività, e poi cominciare subito a trasmettere. Nella bozza precedente invece si chiedeva alle web tv lineari di chiedere autorizzazione ad Agcom e aspettare 60 giorni la risposta, prima di trasmettere.

Finora l’Autorità ha deliberato solo sulle web tv più simili ai normali canali televisivi lineari: quelle cioè con un palinsesto. Ha rimandato a lunedì la decisione sulle web tv con video on demand, che sono la maggioranza delle migliaia di web tv italiane. È probabile che per queste tv gli oneri saranno ancora più leggeri, visto che c’era questa diversa proporzione nel testo di bozza.

Anche se alleggerite, le regole su web tv e web radio sono una svolta nello scenario italiano. Finora infatti quei servizi hanno trasmesso in totale libertà, senza dover affrontare costi di autorizzazione né burocrazia. Questi potrebbero essere tali da scoraggiare alcune (se non molte) web tv e web radio amatoriali. Attendiamo di poter leggere il regolamento, ancora non pubblicato, per scoprire tutti i nuovi oneri burocratici e valutarne il peso.

Guerra ai pirati
Agcom aveva scritto un testo di regole anti pirateria che, se fosse stato approvato, sarebbe finito inconsultazione pubblica; primo tassello di un iter fino al provvedimento finale.
Ha deciso però di rinviarela discussione a lunedì. Per fortuna: ci sarà più tempo per il dibattito, visto che il testo conteneva misure molto severe contro la pirateria. Addirittura inaudite in Occidente. In sintesi: Agcom voleva imporre ai provider di oscurare siti collegabili anche indirettamente all’attività di pirateria e di bloccare il traffico peer to peer degli utenti. Il tutto, a fronte di segnalazione delle forze dell’ordine o dei detentori di diritto d’autore. Adesso invece si oscurano siti solo a fronte di richiesta di un’autorità giudiziaria e in nessun modo si blocca il traffico peer to peer degli utenti.

Come nota Stefano Quintarelli, quelle misure violano norme comunitarie, sono forse persinoanticostituzionali e contrastano con il normale funzionamento di Internet. È ancora presto per cantare vittoria, ma la sensazione è che Internet al momento l’ha scampata bella. Il futuro testo Agcom sul copyright, se arriverà, dovrebbe essere più moderato.

di Alessandro Longo

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sabato 6 novembre 2010

Roberto Maroni apre alla tecnologia wi-fi in Italia

Wi Fi più libero, ma mica tanto.


Dopo cinque anni e quattro mesi, se tutto va come formalmente promesso dal ministro degli Interni Roberto Maroni, le norme che hanno soffocato la Rete senza fili in Italia (il cosiddetto decreto Pisanu) saranno modificate: niente più richiesta di un documento d’identità cartaceo per accedere all’WiFi nei locali pubblici, niente più obbligo dei gestori di chiedere l’autorizzazione in questura per fornire il servizio (mentre resta ancora in dubbio se questi dovranno in qualche modo archiviare la navigazione on line dei loro clienti, come avviene ora).
Non sarà tuttavia, come ha invece sostenuto Maroni, una vera liberalizzazione. Secondo il governo e la maggioranza infatti, bisogna «contemperare le esigenze della libera navigazione con quelle della sicurezza», come spiega il responsabile Internet del Pdl Antonio Palmieri a ‘L’espresso’: quindi «si studierà un modo per identificare i dispositivi attraverso i quali le persone si connetteranno» alla Rete senza fili da locali pubblici.
Che cosa significa questo? Ancora non si sa: «Ci sono due mesi per trovare un sistema (la legge attuale scade a fine anno e non verrà prorogata, ndr) quindi ne discuteranno i tecnici dei ministeri (Interni, Innovazione e Sviluppo economico) insieme alla Polizia postale, poi ci sarà il confronto politico sul disegno di legge in Parlamento», dice Palmieri.
L’ipotesi più probabile , secondo quanto si dice da settimane, è che si vada verso un sistema di identificazione via sms: l’utente immette on line il proprio numero di cellulare e a quel punto riceve una password con cui può accedere alla Rete. Un metodo in verità già parzialmente utilizzato anche oggi, grazie a una circolare che consente questa forma di ‘aggiramento’ della vecchia norma.
Quindi non cambierà nulla, di fatto? «Non è vero, cambierà molto», risponde Palmieri. «Intanto si fa piazza pulita di tutte le carte e di tutte le burocratizzazioni che finora hanno caratterizzato quasi ovunque la navigazione WiFi. Poi verrà meno l’obbligo per il gestore di chiedere l’autorizzazione alla questura».
Ad ogni modo, precisa il responsabile Internet del Pdl (che ha lavorato per mesi verso questa soluzione) «non si può ancora dire con precisione quali saranno le modalità pratiche di accesso all’WiFi pubblico. Saranno il più snelle possibile, fatte salve le esigenze di identificazione per ragioni di sicurezza. E’ un robusto passo in avanti».
Curioso tuttavia che queste «esigenze di identificazione», motivate con ragioni di prevenzione antiterrorismo, non vengano avvertite in tutti gli altri Stati occidentali dove la navigazione senza fili è libera, sebbene ci siano stati casi molto significativi di attentati, a partire dagli Stati Uniti.
La soluzione partorita dal Consiglio dei ministri è probabilmente un compromesso tra Maroni (riluttante alla liberalizzazione) e Brunetta (che invece spingeva in questo senso), con il responsabile dello Sviluppo Economico Paolo Romani in mezzo. Non si ha notizia della posizione di un quarto ministro che pure dovrebbe interessato alla vicenda, quello del Turismo Brambilla. Infatti, come noto, i ‘posti di blocco’ che attualmente sono piazzati attorno all’WiFi costituiscono una notevole scomodità per gli stranieri, che quando arrivano in Italia e scoprono di non potersi collegare alla Rete con il proprio pc da un bar restano di sasso. Tra l’altro, il sistema di identificazione via sms rischia di escludere proprio gli stranieri: infatti, non essendo i loro numeri direttamente riconducibile a un’identità, non possono ricevere la password per navigare.
Anche questo è un punto complicato che governo e Parlamento sono chiamati ad affrontare in vista della sostituzione del decreto Pisanu con nuove norme. Limitarsi a eliminare quelle vecchie – illiberali e dannose per l’innovazione del Paese – sarebbe stato molto più semplice e molto più civile. Infatti non l’hanno fatto.

FONTE:http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2010/11/05/wi-fi-piu-libero-ma-non-basta/


Roberto Maroni apre alla tecnologia wi-fi in Italia. "E' mio intendimento, ci stiamo lavorando da tempo, portare la prossima settimana in Consiglio dei Ministri una proposta che ci consenta di superare il decreto Pisanu che scade il 31 dicembre liberalizzando il wi-fi ma garantendo le informazioni che consentono alla magistratura e alla polizia di proseguire le indagini", ha detto il Ministro dell'Interno durante il question time alla Camera, rispondendo a un'interrogazione della Lega Nord. "La norma funziona - ha spiegato - ma è del 2006, in questi anni c'è stata una evoluzione tecnologica che mi consente di dire che si può trovare una soluzione diversa dalle restrizioni del decreto Pisanu che consentano comunque l’attività investigativa".

Secondo Maroni la norma Pisanu è stata molto efficace e ha permesso di "sventare minacce sul fronte del terrorismo e della criminalità organizzata", ma con la rapida evoluzione tecnologica attuale è fondamentale "raggiungere un equilibrio che permetta di contemperare le esigenze di sicurezza previste dal decreto Pisanu con quelle di accesso alla rete e al wi-fi".


Wi-Fi: Grasso "Da liberalizzazione danno alle indagini"


Per il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, l’accesso libero alle postazioni Wi-Fi e agli internet point, introdotto dal pacchetto Sicurezza, porterebbe a “ridurre moltissimo la possibilità di individuare tutti coloro che commettono reati attraverso Internet”. “Bisogna rendersi conto – ha spiegato il procuratore intervenendo a Bari – che dietro queste reti wi-fi e internet point ci si può nascondere benissimo nella massa degli utenti non più identificabili e si possono trovare anche terroristi, pedofili e mafiosi”.

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giovedì 4 novembre 2010

FACEBOOK BLOCCA TUTTE LE PAGINE CONTRO IL PREMIER



."MEGLIO GAY CHE MR B.": MA FACEBOOK BLOCCA TUTTE LE PAGINE CONTRO IL PREMIER


Erano nate ieri dopo le battute di Silvio, per protestare e mettere all’indice l’omofobia del PresDelCons. Ma il social network ha bloccato la possibilità di postare agli admin
“Meglio gay che Berlusconi”: quale migliore slogan per rispondere alle simpatiche battutine del premier riguardanti gli omosessuali e le belle donne, che ieri hanno fatto il giro del mondo additando l’Italia al pubblico ludibrio? E oltre che slogan (usato nella manifestazione spontanea a Palazzo Chigi di ieri), la frase è diventata anche il pretesto per aprire ben due pagine su Facebook allo scopo di criticare il presidente del Consiglio. Una con 18mila e una con 27mila iscritti. Che però il social network ha pensato bene di chiudere in serata, richiamandosi a una non ben precisata violazione del regolamento.
PRIMA PAGINA – La prima pagina con lo slogan “Meglio gay che Berlusconi” è questa ( http://www.facebook.com/pages/Meglio-gay-che-Berlusconi/174997952515332?v=wall) : “Questa vuole essere una pagina nella quale chiunque possa comunicare al nostro presidente del consiglio tutto il suo disappunto per le affermazioni a dir poco sconcertanti sulla omosessualità”, dice la presentazione. Ma subito dopo ecco il comunicato: “Facebook mi ha bloccato la possibilità di scrivere in bacheca. Non vorrei che fosse il primo passo per la nostra chiusura. Invitate chi potete. Non ci devono chiudere”, dice il gestore. Nella pagina, sulla quale gli utenti iscritti possono però ancora postare, ci sono articoli che parlano delle dichiarazioni di Silvio, fotomontaggi scherzosi (“meglio omo che fobico” dietro a una foto di Silvio con il Papa, e a prima vista poco o nulla di offensivo.

LA SECONDA PAGINA – La seconda pagina è questa ( http://www.facebook.com/pages/Meglio-gay-che-Berlusconi/115334938529587)  , e il gestore ci informa che Facebook lamenta una violazione delle condizioni d’uso, che sono spiegate qui:


1. Le Pagine sono profili speciali utilizzabili solo per la promozione di aziende o altre organizzazioni commerciali, politiche o di beneficienza (comprese organizzazioni no-profit, campagne politiche, gruppi musicali e personaggi dello spettacolo).
2. Un utente può amministrare una Pagina Facebook solo se è un rappresentante autorizzato dell’oggetto della Pagina.
3. Le Pagine possono pubblicare contenuti e informazioni solo usando l’impostazione “Tutti”.
4. Quando l’utente pubblica contenuti o informazioni su una Pagina, noi non siamo obbligati a distribuire tali contenuti o informazioni agli altri utenti.
5. In caso di utilizzo di un riquadro “Mi piace” o di un widget simile al di fuori del nostro sito per la promozione della Pagina, altre persone potranno copiarlo e posizionarlo altrove.
6. Non è consentito posizionare un riquadro “Mi piace” o un widget simile in una pubblicità.
7. Se l’utente raccoglie informazioni relative agli utenti sulla propria Pagina, è valida anche la sezione 9 della presente Dichiarazione.
8. Se, su una Pagina, vengono mostrate inserzioni o contenuti che potrebbero somigliare ad inserzioni, tali contenuti devono essere conformi ai requisiti delle Linee guida sulle pubblicità.
9. Non è consentito stabilire delle condizioni aggiuntive a quelle indicate nella presente Dichiarazione per gestire la pubblicazione di contenuti da parte degli utenti su una Pagina di cui si è amministratori. L’unica eccezione è che è consentito indicare i tipi di contenuti che verranno rimossi da una Pagina e i motivi per cui potrebbe venire impedito agli utenti di accedere alla Pagina.
10. L’amministratore di una Pagina limiterà l’accesso alla stessa per garantire il rispetto di tutte le leggi applicabili. Se, ad esempio, una Pagina include contenuti non adatti ai minorenni, non verrà consentito loro di accedere alla Pagina stessa.
Anche qui, a prima vista la motivazione sfugge, anche se magari una violazione del primo punto potrebbe essere ipotizzabile. Uno dei due gestori ci riferisce di aver compilato la richiesta per chiedere lo sblocco, ma finora non ha ricevuto risposta. Difficile ipotizzare motivazioni politiche nel gesto. Forse – forse – il blocco è dovuto proprio allo straordinario successo delle pagine – 45mila iscritti in poche ore – che ha spinto Facebook a chiudere automaticamente la pagina perché una crescita del genere è sospetta (e la policy del social network è di combattere lo spam).

http://www.giornalettismo.com/


Questo resiste
http://www.facebook.com/pages/Dimettiti/164527436904099


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martedì 2 novembre 2010

FB è una trappola


Tutti devono sapere che FB è una trappola

di Franco Berardi "bifo"

“Tutti devono sapere” è il nome di una pagina Facebook che informa(va) sulle questioni della cosiddetta riforma Gelmini, l’attacco definitivo scatenato contro la scuola pubblica italiana, il tentativo - che purtroppo sta avanzando - di distruggere alla base ogni vita intelligente, ogni democrazia in questo paese. Diecimila persone erano collegate a questa pagina: insegnanti, genitori, studenti. Da un paio di giorni questa pagina è stata cancellata senza motivazioni senza spiegazioni.

Per violazione di qualche norma di un regolamento che nessuno conosce. Facebook è così. Ricevo sempre più spesso messaggi (spesso comicamente disperati) di persone che sono state bannate dal social network, e annaspano perché la loro socialità si alimentava sempre più degli scambi di messaggi, e della continua consultazione del sito nel quale chi è solo (quasi tutti lo sono di questi tempi) può trovare la coccolante conferma della sua esistenza, e la sensazione di avere amici, anche se più tempo passi davanti allo schermo, meno amici avrai nella carne e nello sguardo. Io protesto insieme a molti altri contro la cancellazione autoritaria della pagina “Tutti devono sapere”. Però vorrei cogliere questa occasione per dire a tutti (anche ai diecimila iscritti della pagina bannata) che questa è una lezione su quel che è Facebook, e su quello che sta diventando la Rete, nella fase del Web 2.0: un ordigno totalitario, una bomba psichica a tempo destinata a distruggere ogni empatia tra esseri umani.

Negli anni ’80 tradussi un articolo dal titolo Communication without symbols, scritto da un giovane ingegnere elettronico di nome Jaron Lanier. Lanier lavorava allora in California per un laboratorio di ricerca sulle nuove tecnologie, e fu il primo a sviluppare le interfacce del Data Glove e di altri congegni di Virtual Reality che precedettero e prepararono il lancio del world wide web. Ora Jaron Lanier ha pubblicato un libro dal titolo You are not a gadget, che costituisce per quel che ne so la migliore critica del Web 2. 0 e particolarmente del social network che ha attratto più di mezzo miliardo di utenti, e che sta trasformando la vita quotidiana di una parte considerevole della nuova generazione. La prima parte del libro è dedicata all'analisi delle filosofie californiane che identificano nell’Info-Cloud la forma più alta di vita intelligente associata, e tendono a vedere nella rete telematica la forma più avanzata di vita intelligente, fino al punto che, come diceva Kevin Kelly nel suo libro del 1993 (Out of control) la mente globale non può essere compresa né controllata dalle menti umane individuali, e questo significa che essa è di un ordine superiore alla mente umana, come un alveare ha intelligenza superiore a quella delle api che lo hanno costruito. “La funzione di questo modello non è, scrive Lanier, rendere la vita più facile per la gente. Ma promuovere una nuova filosofia, secondo cui il computer evolve verso una forma di vita che può capire gli umani meglio di quanto gli umani capiscano se stessi…” (You are not a gadget, pag. 28, traduzione mia) Lanier parte dalla premessa (filosoficamente importante) che “L’informazione è esperienza alienata.” E aggiunge: “Se i bit possono significare qualcosa per qualcuno, è solo perché sono oggetto di esperienza. Quando questo accade, si crea una comunanza di cultura tra chi immagazzina bit e chi li va a pescare nella memoria. L’esperienza è il solo processo che può disalienare l’informazione.” (29)

La tecno-Teologia della Mente alveare ha elementi molto affini alla Teologia Neoliberista, secondo cui esiste una mano invisibile che automaticamente regola tutti gli scambi economici in modo tale da realizzare il migliore dei mondi possibili in una condizione di deregulation perfetta. Leggiamo ancora Lanier: “Nel passato un investitore doveva essere capaci di capire almeno qualcosa su quel che il suo investimento avrebbe effettivamente prodotto. Oggi non è più così. Ci sono troppi strati di astrazione tra il nuovo tipo di investimentoi e l'evento produttivo. I credenti nella filosofia della mente alveare sembrano pensare che per quanti livelli di astrazione siano in un sistema finanziario questo non ne riduce l’efficacia. Secondo questa ideologia, che mescola cyber-cloud ed economia friedmaniana (Neoliberista), il mercato farà quel che è meglio per tutti, e non solo, farà tanto meglio quanto meno la gente è in grado di capirlo. Io non sono d’accordo. La crisi finanziaria prodotta dal collasso dei mutui immobiliari è stato la prova del fatto che troppa gente aveva creduto nella teologia.” (pag.97) Prima del collasso, effettivamente, i banchieri ci assicuravano che i loro algoritmi intelligenti potevano calcolare ogni rischio ed evitare prestiti pericolosi. Sappiamo come è andata a finire, milioni di persone hanno perso la casa, il sistema finanziario è crollato, la popolazione è stata costretta a salvare le banche, causa del disastro, e oggi l’economia mondiale è sprofondata in una recessione che appare irreversibile, e i governi europei chiedono alla popolazione di rinunciare ai suoi diritti, ai suoi salari, al suo tempo libero alla sua pensione perché il sistema finanziario – che ha provocato tutto questo – deve essere salvato.

Cosa c’entra in tutto questo Facebook? C’entra eccome, perché Facebook è la forma più compiuta di una forma di totalitarismo algoritmico di cui Lanier parla così: “Con la formazione del Web 2. 0 si è verificata una forma di riduzionismo. La singolarità viene eliminata da questo processo che riduce a poltiglia il pensiero. Le pagine individuali che apparivano nella prima fase di Internet negli anni ’90 avevano il sapore della persona che le faceva. MySpace preservava qualcosa di quel sapore, anche se era cominciato il processo di formattazione. Facebook è andato oltre organizzando la gente dentro identità a scelta multipla, mentre Wikipedia cerca di cancellare interamente il punto di vista. Se una chiesa o un governo facessero una cosa del genere lo denunceremmo come autoritario, ma se i colpevoli sono i tecnologi, allora sembra che tutto sia alla moda, e inventivo.” (pag. 48)

E per finire, Lanier si chiede: “Sto forse accusando centinaia di milioni di utenti dei siti di social network di accettare una riduzione di sé per poter usare dei servizi? Ebbene sì, io li accuso. Conosco una quantità di persone, soprattutto giovani ma non solo che sono orgogliosi di dire che hanno accumulato migliaia di amici in Facebook. Ovviamente questa affermazione si può fare solo se si accetta una riduzione dell’idea di amicizia.” (pag. 52) Il problema è fino a quel punto questa riduzione potrà arrivare. Se si tratta di persone che hanno ormai un’esperienza psichica ed esistenziale, probabilmente Facebook finirà per essere solo una enorme perdita di tempo e una trappola come è successo per le diecimila persone che hanno affidato a Facebook la loro azione politica e comunicativa. Ma se l’utente ha otto anni o dodici, allora io credo che la questione sia molto più pericolosa.“Mi preoccupo per la prossima generazione, scrive Lanier, che cresce con una tecnologia di rete che esalta un’aggregazione formattata. Non saranno forse più inclini a soccombere alle dinamiche di sciame?” Queste parole non le scrive un umanista nostalgico, né un rabbioso sovversivo luddista, ma un ingegnere informatico che ha immaginato la rete molto prima che Internet esistesse.



Per questo dovremmo ascoltarle, e riflettere, perché la nostra socialità, attraverso la rete, esca dalla rete e invada la vita, che altrimenti non ha più amicizia, né piacere, né senso.

* Testo liberamente preso dalla rete

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sabato 30 ottobre 2010

Una bomba sui cittadini della rete




E' grottesco che mentre la maggioranza di governo si impegna da mesi per rendere più difficili le intercettazioni telefoniche richieste da magistrati, il ministero degli Interni si arroghi il diritto di intercettare i nostri dialoghi via Facebook senza alcun mandato della magistratura


di Alessandro Gilioli

Il patto tra Facebook e il Viminale è un attentato ai diritti dei cittadini digitali. E la prova che gli utenti non possono essere spettatori passivi in un rapporto diretto tra le corporation di Internet e i governi locali


Nel nostro Paese ITALIA abbiamo assistito negli ultimi anni a un'escalation di norme e di proposte di legge per rendere l'accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato.

Proprio in questi giorni, ad esempio, l'Agcom sta valutando come rendere operativa l'odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo Romani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv».

Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta 'caccia all'internauta' che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l'aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l'effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l'altro giorno Maroni ha promesso di "superare" il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell'identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera).

Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei "netizen", i cittadini della Rete.

Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l'internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte. Nel nostro Paese abbiamo assistito negli ultimi anni a un'escalation di norme e di proposte di legge per rendere l'accesso a Internet sempre più difficile, controllato, burocratizzato.

Proprio in questi giorni, ad esempio, l'Agcom sta valutando come rendere operativa l'odiosa normativa sui video on line scritta da Paolo Romani, con probabile pesante tassazione per chiunque abbia un sito su cui voglia caricare del materiale che «faccia concorrenza alla tv».

Contemporaneamente sui giornali della destra si è scatenata la consueta 'caccia all'internauta' che avviene dopo ogni gesto di violenza politica, in questo caso l'aggressione romana a Daniele Capezzone: nel dicembre scorso era stato il gesto di Massimo Tartaglia a Milano a far delirare i vari Schifani e Carlucci in proposito, ottenendo l'effetto immediato di far prorogare per un altro anno le norme medievali e tutte italiane sul Wi-Fi (a proposito: l'altro giorno Maroni ha promesso di "superare" il decreto Pisanu, e tuttavia il rischio è che si vada verso la sostituzione dell'identificazione cartacea con quella via sms, insomma anni luce lontani dalla navigazione libera).

Ma quello che denuncia Giorgio Florian nel suo articolo è molto più grave, forse il più pesante attentato mai realizzato in Italia contro i diritti dei "netizen", i cittadini della Rete.

Il patto con cui la Polizia Postale italiana si è fatta concedere da Facebook il diritto di entrare arbitrariamente nei profili degli oltre 15 milioni italiani iscritti a Facebook, senza un mandato della magistratura e senza avvertire l'internauta che si sta spiando in casa sua, è di fatto un controllo digitale di tipo cinese che viola i più elementari diritti dei cittadini che dialogano utilizzando il social network: insomma, stiamo parlando di una vera e propria perquisizione, espletata con la violenza digitale del più forte.

Aspettiamo quindi urgenti chiarimenti dalla Polizia Postale e dal ministero degli Interni, da cui dipende. E non basta certamente una smentita rituale, perché le notizie pubblicate nell'articolo di Florian provengono da fonti certe e affidabili.


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