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mercoledì 27 novembre 2019

Google e Facebook Condizionano la nostra Vita


Google e Facebook Condizionano la nostra Vita


Come i Social Media ti cambiano il Cervello

Un terzo della popolazione mondiale
 condivide pezzi di vita su Facebook, Twitter, Instagram: 
quali Conseguenze hanno il tempo speso online
 e le interazioni sociali sul nostro cervello e comportamento?


Eccone 5 a cui non avresti pensato.

Trascorriamo in media 2 ore al giorno a navigare, postare e commentare su Facebook, Twitter, YouTube e altre piattaforme social. Le ricadute di questa abitudine su lessico e tempo sprecato sono costantemente sotto ai nostri occhi ("mi hanno taggato in una foto", "ho messo like al suo status"...). Ma quali sono gli effetti dei social media sul nostro cervello?



A descriverli con precisione e un pizzico di ironia ci ha pensato il team di AsapScience. Il video che vedete elenca 5 modi inaspettati e curiosi in cui l'uso dei social altera alcuni meccanismi cerebrali. Eccoli spiegati per punti.



1. DIPENDENZA. Il 5-10% degli utenti online è incapace di controllare il tempo trascorso sui social. Le scansioni cerebrali di queste persone rivelano danni nelle stesse aree colpite nel cervello di chi fa abuso di droghe: si nota una degradazione della sostanza bianca nelle regioni che controllano le emozioni, l'attenzione e i processi decisionali. La ragione è da ricercare nell'appagamento immediato, con poco sforzo, offerto dai social media, che fa sì che il cervello sviluppi dipendenza dagli stimoli da essi offerti (99 giorni senza Facebook: ce la faresti?).



2. MULTITASKING. Si potrebbe pensare che l'uso dei social ci renda più abili nel gestire più compiti contemporaneamente. La prova? Sappiamo tenere nello stesso momento una finestra aperta su Facebook, una su Twitter e una sulla mail che stiamo scrivendo. In realtà è stato dimostrato che chi trascorre molto tempo sui social diviene meno abile nel passare da un compito all'altro, più facilmente distraibile e meno efficiente nell'immagazzinare le informazioni nella memoria 
(oltre al rischio depressione, di cui abbiamo parlato qui).



3. SINDROME DA VIBRAZIONE FANTASMA. "Aspetta, mi è vibrato il cellulare! Ah no, me lo sono sognato": è una frase che vi capita di pronunciare, o sentire, sempre più spesso? In effetti uno studio ha dimostrato che l'89% degli intervistati prova questa sensazione una volta ogni 15 giorni.



Il fenomeno, in aumento, sembrerebbe dovuto al fatto che i smartphone e tablet, complice l'utilizzo dei social, ci seguono ormai dappertutto e sono divenuti appendici di mani e tasche. Vengono così interpretati come "arti fantasma" dalle aree del cervello che analizzano le sensazioni tattili
 (come la corteccia somatosensoriale)
 e finiscono per interferire con le nostre percezioni tattili.



4. RILASCIO DI DOPAMINA. Studi in risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato che i centri della ricompensa nel cervello sono più attivi quando, in una conversazione, stiamo parlando di noi, piuttosto che quando ci è chiesto di ascoltare. Ma se nelle chiacchierate faccia a faccia parliamo di noi stessi nel 30-40% delle volte, su Facebook è autocentrato l'80% dei post. Quando scriviamo di noi nel nostro cervello si libera dopamina, un neurotrasmettitore associato alle sensazioni di benessere: è come se il cervello in qualche modo ricompensasse il nostro egocentrismo!
 (Come scovare i narcisi su Facebook)



5. RELAZIONI INTERPERSONALI. Forse per la nostra tendenza a trascorrere molto tempo online, gli studi dimostrano che le relazioni nate online non sono così effimere come si credeva. Una ricerca dell'Università di Chicago ha dimostrato che i rapporti nati su Internet sono persino più solidi di quelli nati offline. Il motivo è da ricercare, forse, nel fatto che in queste storie, prima di incontrarsi di persona si ha modo di conoscere gusti e passioni dell'altro.



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martedì 26 novembre 2019

Il Paese più Ignorante di tutta Europa e 12esimo nel Mondo

Il Paese più Ignorante di tutta Europa e 12esimo nel Mondo


L’Italia - Il paese più ignorante d’Europa. 
A stabilirlo è l’annuale classifica di IPSOS Mori che mette
 il Belpaese al 12esimo posto nel mondo, 
ma primo in Europa nella “misperceptions”, 
ovvero nella “percezione erronea”. Vediamo di cosa si tratta.

Ogni anno, l’IPSOS Mori, azienda inglese di analisi e ricerca di mercato, stila una classifica, la “Perils of Perception”, letteralmente “Pericoli della Percezione” per stabilire quali siano i popoli più ignoranti al mondo attraverso delle domande che riguardano diversi aspetti della vita.

Per ogni nazione vengono arruolate 11mila persone che diventano il campione d’indagine. A loro vengono sottoposte delle domande per capire la loro percezione della realtà su determinati argomenti; incrociando poi le risposte, si ottiene una classifica dei popoli più ignoranti.

La parola ignoranza quindi non è strettamente legata al livello di istruzione, quanto al rapporto che alcune persone hanno su problemi chiave della società. Infatti, le domande non sono di cultura generale, ma sulla realtà che li circonda.

Facciamo qualche esempio. Viene chiesto agli intervistati se gli omicidi nel proprio paese sono aumentati o diminuiti rispetto al 2000.
“Solo una piccola minoranza di persone pensa che il tasso di omicidi 
sia diminuito nonostante ciò sia vero”, si legge nel rapporto.

O ancora viene chiesto se dopo l’11 settembre ci siano stati più o meno attacchi terroristici
“Pochissime persone pensa che gli attacchi siano in numero minore, 
nonostante questo rappresenti la realtà”, si legge ancora.

Ci sono poi domande sulla percezione dell’immigrazione e ancora sulla 
percentuale di adolescenti che rimangono incinte.
“Tutti i paesi sopravvalutano il numero di nascite di bambini che nascono
 da teenager perché il rapporto è uno su cinque”.

Si parla ancora di vaccini e autismo, di diabete e perfino sul consumo di zucchero. Per esempio, molti nominano Gran Bretagna e Francia tra i paesi che ne consumano di più assieme agli Stati Uniti, nonostante questi due paesi abbiano un consumo bassissimo. Ancora, rapporto con l’alcol, numero di suicidi, qualità della vita, smartphone, numero di veicoli e infine domande 
sull’esistenza o meno di paradiso e inferno.


Quello che ne viene fuori è che gli italiani nella maggior parte dei casi hanno una percezione sbagliata della realtà e tendono a crearsi un mondo parallelo e ciò potrebbe anche derivare dall’uso inconsueto che si fa dei social e del fatto che ormai non si riesca più 
a distinguere notizia falsa da notizia vera.

Ogni anno in tutto il mondo vengono prodotti circa 2.000 tonnellate di cocaina. Di queste, 700 tonnellate sono destinate al mercato europeo mentre il restante va quasi tutto a finire in quello nordamericano con gli Usa in testa...



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domenica 24 novembre 2019

Facebook e Google sono una Minaccia ai Diritti Umani, accusa Amnesty

Facebook e Google sono una Minaccia ai Diritti Umani, accusa Amnesty


In un rapporto intitolato “Surveillance Giants”, Amnesty International ha sfruttato duramente il modello di business di Facebook e Google. Consentendo agli utenti di utilizzare i propri servizi gratuitamente (social network, applicazioni, ecc.) Per raccogliere i propri dati personali , le due aziende sono un grave pericolo per la libertà di opinione, espressione, pensiero e diritti di uguaglianza e non discriminazione.

“Google e Facebook dominano le nostre vite moderne; hanno accumulato un potere senza pari sulla sfera digitale raccogliendo e monetizzando i dati personali di miliardi di utenti . Il loro insidioso controllo sulla nostra vita digitale mina le basi stesse della privacy ed è una delle maggiori sfide per i diritti umani dei nostri tempi “, ha affermato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty.

“Google e Facebook hanno gradualmente ridotto il rispetto della nostra privacy . Oggi siamo intrappolati. O ci sottomettiamo a questa vasta macchina di sorveglianza – dove i nostri dati sono facilmente utilizzati per manipolarci e influenzarci – o rinunciamo ai vantaggi del mondo digitale “, ha affermato il segretario generale in una nota.

Facebook e Google sono una Minaccia ai Diritti Umani, accusa Amnesty


All’esterno, Internet è uno strumento indispensabile per esercitare molti diritti umani e civili di base . “Miliardi di persone non hanno altra scelta che accedere a questo spazio pubblico alle condizioni dettate da Facebook e Google”, afferma Naidoo. Secondo Amnesty, servizi come Facebook, Instagram, il motore di ricerca di Google, YouTube e WhatsApp sono regolati da “algoritmi opportunistici” progettati esclusivamente per manipolare gli utenti di Internet.

“Abbiamo già scoperto che la vasta architettura pubblicitaria di Google e Facebook è un’arma potente nelle mani sbagliate. Può essere deviato a fini politici, a rischio di conseguenze disastrose per la società e lascia il campo libero per ogni sorta di nuove strategie pubblicitarie con i suggerimenti dello sfruttamento “ aggiunge Kumi Naidoo, in riferimento allo scandalo Cambridge Analytica avvenuto all’inizio del 2018 .

Nel 2015 Facebook ha autorizzato Cambridge Analytica, una società di analisi dei dati specializzata in strategia politica, per recuperare i dati personali di milioni di utenti di Internet, che ha poi sfruttato e lasciato disponibili ad altre entità. A seguito di questo scandalo, Mark Zuckerberg fu persino costretto a difendersi di fronte al Congresso americano .

In queste circostanze, Amnesty invita i governi di tutto il mondo a legiferare urgentemente per evitare abusi. La ONG chiede la creazione di “solide leggi sulla protezione dei dati” , affermando a malincuore che il GDPR è lungi dall’essere sufficiente per difendere i diritti degli utenti di Internet. La versione vuole impedire “Google e Facebook a condizionare l’accesso ai loro servizi” . Per Amnesty, non è la rete dei giganti a stabilire le regole per accedere ai loro prodotti.

Facebook si difende da solo
Facebook si è rapidamente intensificato per contestare le accuse di Amnesty. ”  Il modello di business di Facebook non è, come suggerisce la tua sintesi, incentrato sulla raccolta di dati da persone. Non vendiamo dati, vendiamo pubblicità  ” , ha dichiarato il social network in una nota. Da parte sua, Google non ha ancora risposto alle affermazioni della ONG.



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mercoledì 6 novembre 2019

Microsoft al Lavoro solo 4 Giorni la Settimana

 Lavoro solo 4 Giorni la Settimana

TEST NELLA SEDE DI TOKYO

 Microsoft ci ha provato. E funziona.
L’esperimento è stato fatto nella sede di Tokyo del colosso informatico, ed ha riguardato 2.300 dipendenti. La produttività è aumetata del 39,9% ed i costi aziendali si sono ridotti.


 Lavoro solo 4 Giorni la Settimana


di Biagio Simonetta

Lavorare quattro giorni a settimana anziché cinque funziona. E aumenta i tassi di produttività. È il risultato di un esperimento targato Microsoft, che in Giappone ha voluto testare la settimana di lavoro più corta. Con l'iniziativa “Work Life Choice Challenge”, l'azienda di Redmond ha deciso di provare una settimana di lavoro ridotta per i suoi 2.300 dipendenti della sede di Tokyo. Un modo per promuovere un equilibrio più salutare tra lavoro e vita privata. Da qui è nata l'idea del weekend lungo: uffici chiusi venerdì, sabato e domenica per un mese (agosto 2019), così per valutare eventuali pregi e difetti di questa scelta.

Risultati soprendenti
I risultati, come detto, sono stati sorprendenti. Secondo quanto riferito dalla stessa Microsoft, per il periodo del test la produttività (che è stata misurata in termini di vendite per dipendente) è aumentata del 39,9% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente (agosto 2018, dunque). Un incremento significativo, insomma, ottenuto grazie a uno snellimento generale dei tempi dedicati ad alcune fasi del processo. Sono state limitate, ad esempio, le riunioni in azienda,
con tempi massimi previsti di 30 minuti.

E allo stesso tempo sono diminuiti i costi aziendali fissi: le spese per l'energia elettrica sono scese del 23,1%, e anche il consumo di carta utilizzata in sede per fax, stampe e il resto si è più che dimezzato.
A tutto questo si sono aggiunti i feedback fortemente positivi degli stessi dipendenti: il 92,1% di questi che ha dichiarato di apprezzare la settimana lavorativa di quattro giorni. Una percentuale che, benché prevedibile, racconta molte cose sullo stato d'animo dei dipendenti.

Nuovo esperimento a breve
Dopo il test di agosto, i dipendenti giapponesi di Microsoft sono tornati a lavorare come sempre, cinque giorni su sette. Ma visti i risultati dell'esperimento, la società ha fatto sapere di voler introdurre un nuovo periodo di prova nei prossimi mesi invernali. Il Giappone, del resto, è uno dei Paesi dove la tematica del superlavoro è molto sentita. In molte aziende, come riportano alcuni report pubblicati dal governo nipponico, le ore di straordinario raggiungono numeri altissimi, diventando un vero e proprio problema nazionale. E se ridurre le ore (e i giorni) di lavoro, coincide con un aumento così importante della produttività, forse vale la pena provare a imboccare questa nuova strada.

Il test è avvenuto nel mese di agosto ed è durato cinque settimane, in cui i lavoratori lasciavano l’ufficio il giovedì per ritornarci poi solamente il lunedì successivo.

Stando a quanto riportato, l’esperimento si è rivelato piuttosto redditizio, con la produttività degli impiegati che è risultata decisamente migliorata. Nello specifico, le vendite sono aumentate del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, e sono anche state sprecate meno risorse.

L’azienda ha infatti consumato il 59% in meno di carta, e il 23% in meno di elettricità, risparmiando dunque anche sui costi di gestione.

Alla fine dell’esperimento il 94% degli impiegati si è detto soddisfatto della prova. Tale periodo di prova fa parte di una strategia che punta ad offrire condizioni più vantaggiose ai lavoratori, insieme alle riforme del Primo Ministro giapponese Shinzo Abe, che ha già introdotto un tetto agli straordinari e alzato gli stipendi dei lavoratori part-time,
 e potrebbe essere replicato in altre parti del mondo.

Già alcune compagnie si sono dette interessate, ed alcune piccole aziende hanno già lodato i benefici della prova, come un equilibrio migliore della vita tra lavoro
 e tempo libero e in generale una migliore produttività.

Prima di andare a proporre l’idea al vostro capo però, pregustando i vostri weekend lunghi, sappiate che ci sono anche delle possibili controindicazioni che preoccupano le aziende e i sindacati.

Innanzitutto il concentrare il lavoro in meno giorni potrebbe risultare in una settimana di lavoro generalmente più pesante e con più pressione. Inoltre c’è bisogno di leggi apposite che regolamentino bene il tutto, per evitare il rischio che qualche datore di lavoro tenti di fare il furbo e di approfittarne per ridurre semplicemente il salario dei propri impiegati per via del giorno in meno impiegato in ufficio e di una settimana lavorativa composta da “soli” quattro giorni.

Insomma, se da un lato si può essere attratti dall’idea del colosso di Redmond, dall’altro c’è da stare attenti. In ogni caso, per il momento è destinato a rimanere un esperimento, dato che, ad esempio, nessuno dei candidati alla Presidenza degli Stati Uniti nel 2020 sembra avere nel proprio programma la proposta di ridurre la settimana lavorativa a quattro giorni.

 Lavoro solo 4 Giorni la Settimana

 Lavoro solo 4 Giorni la Settimana

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Ti immagini di poter lavorare 4 giorni su 5 ?
E portare le 40 ore settimanali a 30?
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Sono Web Designer, Web Master e Blogger, creo siti internet e blog personalizzati
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Studio e realizzo i vostri banner pubblicitari con foto e clip animate. 
Mi diletto alla creazione di loghi per negozi , aziende, studi professionali,
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MIO SITO  :  CIPIRI

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martedì 22 ottobre 2019

La Bestia: Come Funziona il Softwer di Salvini

La bestia, come funziona la propaganda di Salvini


Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,
 che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica, 
del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook e molto altro

La bestia, come funziona la propaganda di Salvini


Alessandro Orlowski è seduto a un tavolino di un bar di Barcellona. Nato a Parma nel 1967, vive in Spagna da 20 anni. Ex regista di spot e videoclip negli anni ’90 e grande appassionato di informatica, è stato uno dei primi e più influenti hacker italiani. Fin da prima dell’arrivo dei social network, ha lavorato sulle connessioni digitali tra gli individui, per sviluppare campagne virali. Negli anni ha condotto numerose campagne in Rete, come quella per denunciare l’evasione fiscale del Vaticano o i gruppi estremisti negli Stati Uniti e in Europa. Oggi fa lo spin doctor digitale: ha creato Water on Mars, startup di comunicazione digitale tra le più innovative, e guidato il team social risultato fondamentale per condurre il liberale Kuczynski alla presidenza del Perù. Ci accomodiamo, e cominciamo a parlare con lui di politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario (e inquietante) lavoro che sta realizzando online.

La bestia, come funziona la propaganda di Salvini


Che evoluzione ha avuto negli anni il concetto di “rete social”?
Nasce nei primi anni ’80 con le BBS, le Bulletin Boards System, antesignane dei blog e delle chat. La prima rete sociale, però, è stata Friendster nel 2002, che raggiunse circa 3 milioni di utenti. A seguire l’amatissima (da parte mia) MySpace: narra una leggenda nerd che fu creata in 10 giorni di programmazione. Il primo a usare le reti social per fini elettorali è stato Barack Obama nel 2008.

Oggi in Italia chi è il politico che maneggia meglio questi strumenti?
In tal senso la Lega ha lavorato molto bene, durante l’ultima campagna elettorale. Ha creato un sistema che controlla le reti social di Salvini e analizza quali sono i post e i tweet che ottengono i migliori risultati, e che tipo di persone hanno interagito. In questo modo possono modi care la loro strategia attraverso la propaganda. Un esempio: pubblicano un post su Facebook in cui si parla di immigrazione, e il maggior numero di commenti è “i migranti ci tolgono il lavoro”? Il successivo post rafforzerà questa paura. I dirigenti leghisti hanno chiamato questo software La Bestia.

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

Quando nasce La Bestia?
Dalle mie informazioni nasce dal team di SistemaIntranet di Mantova, ossia dalla mente di Luca Morisi, socio di maggioranza dell’azienda, e Andrea Paganella. Morisi è lo spin doctor digital della Lega, di fatto il responsabile della comunicazione di Salvini. La Bestia è stata ideata a fine 2014, e finalizzata nel 2016. All’inizio si trattava di un semplice tool di monitoraggio e sentiment. Poi si è raffinato, con l’analisi dei post di Facebook e Twitter e la sinergia con la mailing list.

La Bestia: Come Funziona il Softwer di Salvini


Come funziona l’analisi dei dati, su cui si basa la strategia?
Diciamo che a livello di dati non buttano via nulla: tutto viene analizzato per stabilire la strategia futura, assieme alla società di sondaggi SWG e a Voices From the Blogs (azienda di Big Data Analysis, ndr). I loro report, su tutti quelli del professore Enzo Risso, sono analizzati attentamente dal team della Lega, composto da Iva Garibaldi, Alessandro Panza, Giancarlo Giorgetti, Alessio Colzani, Armando Siri e altri.

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

La Bestia differenzia il suo operato a seconda dei social, 
per rendere immutata l’efficacia di Salvini in base allo strumento?
Per chi si occupa di marketing e propaganda online, è normale adattare la comunicazione ai differenti social. Twitter è l’ufficio stampa, e influenza maggiormente i giornalisti. Su Facebook ti puoi permettere un maggiore storytelling. È interessante vedere come, inserendo nelle mailing list i video di Facebook, la Lega crei una sinergia con la base poco attiva sui social: la raggiunge via mail, e aumenta così visualizzazioni e condivisioni.

Operano legalmente?
Camminano su un filo molto sottile. Il problema riguarda la gestione dei dati. Hanno creato, per esempio, un concorso che si chiama “Vinci Salvini” (poche settimane prima del voto, ndr). Ti dovevi registrare al gioco online e quanti più contenuti pubblicavi a tema Lega, maggiori erano le possibilità di incontrare Salvini. È stato un successo. Il problema è che non sappiamo come siano stati gestiti i dati. A chi venivano affidati? A Salvini? Alla Lega? A una società privata?

Politica nel mondo digitale, per arrivare presto a Matteo Salvini e allo straordinario e inquietante lavoro che sta realizzando online il Software La Bestia .

C’è qualche legame con lo scandalo Cambridge Analytica
 in questo utilizzo “disinvolto” dei dati personali?
Difficile rispondere. Circolano voci in merito all’apertura di una sede di Cambridge Analytica a Roma poco prima delle elezioni italiane, progetto abortito in seguito allo scandalo che ha coinvolto la società britannica. Un partito italiano, non si sa quale, avrebbe richiesto i suoi servizi. È noto che la Lega volesse parlare con Steve Bannon (figura chiave dell’alt-right americana, fondamentale nell’elezione di Donald Trump, ndr) in quel periodo, incontro poi avvenuto in seguito.

La destra – più o meno estrema – sta vincendo la battaglia della comunicazione digital? 
Si muovono meglio dei partiti tradizionali, che non sono riusciti a evolversi. Lo dimostra Bannon, e pure Salvini, che a 45 anni è un super millennial: ha vissuto il calcio balilla, la televisione, Space Invaders e le reti social.

Vedi analogie tra la strategia social di Donald Trump e quella di Salvini?
Salvini ha sempre guardato con attenzione a Trump. Entrambi fanno la cosa più semplice: trovare un nemico comune. E gli sta funzionando molto bene. Nel nuovo governo si sono suddivisi le responsabilità: al M5S è toccato il lavoro, con la forte macchina propagandistica gestita dalla Casaleggio Associati, alla Lega la sicurezza e l’orgoglio nazionale, gestiti da Morisi e amici.

Sta pagando, non c’è che dire.
La totale disinformazione e frotte di like su post propagandistici e falsi – per esempio l’annuncio della consegna di 12 motovedette alla Guardia costiera libica (a fine giugno, ndr) – portano a quello che si definisce vanity KPI: l’elettore rimane soddisfatto nel condividere post che hanno migliaia di like, e quindi affermano le loro convinzioni. Consiglio la lettura di The Thrill of Political Hating di Arthur Brooks.

Esiste una sorta di meme war all’italiana? 
Le meme war non esistono. Ci possono essere contenuti in forma di meme per denigrare i competitor e inquinare i motori di ricerca. Ricordiamoci anni fa, quando su Google scrivevi il cognome “Berlusconi” e il motore di ricerca ti suggeriva “mafioso”: fu un esempio di manipolazione dell’algoritmo di Google. Lo stesso sta succedendo in questi giorni: se scrivete la parola “idiot” e fate “ricerca immagini”, compaiono solo foto di Trump.

Come è stata finanziata l’attività delle reti social della Lega?
La Lega voleva creare una fondazione solo per ricevere i soldi delle donazioni, al fine di poter tenere in piedi le reti social senza passare per i conti in rosso del partito. Il partito è gravato da debiti e scandali finanziari (a luglio il tribunale di Genova ha confermato la richiesta di confisca di 49 milioni di euro dalle casse del partito, ndr). Le leggi italiane lasciano ampio margine: permettono di ricevere micro- donazioni, senza doverle rendere pubbliche. È una forma completamente legale. In ogni caso, potresti chiederlo direttamente a Luca Morisi (Morisi non ha risposto ai tentativi di contatto)

Hanno ricevuto finanziamenti dall’estero? 
Recentemente l’Espresso ha raccontato che alcune donazioni al partito provengono da associazioni come Italia-Russia e Lombardia- Russia, vicine alla Lega. D’altra parte, sono stati i russi a inventare il concetto di hybrid war. Il generale Gerasimov ha teorizzato che le guerre moderne non si devono combattere con le armi, ma con la propaganda e l’hacking.

Un sistema come La Bestia alimenta la creazione di notizie false?
Non direi che ci sia un rapporto diretto tra le due cose, ma sicuramente c’è un rapporto tra La Bestia e il bias dei post che pubblicano. Come ha spiegato lo psicologo e premio Nobel Daniel Kahneman, di fronte a una notizia online la nostra mente si avvale di metodi di giudizio molto rapidi che, grazie alla soddisfazione che dà trovare conferma nei nostri pregiudizi, spesso porta a risposte sbagliate e illogiche, ossia biased.

Salvini lavora su questo bias?
Lo fa il suo team, e anche quello del M5S: amplificare notizie semi-veritiere, viralizzandole e facendole diventare cultura condivisa, che viene confermata sia dalla fonte considerata carismaticamente onesta e affidabile, sia dal numero di condivisioni che la rendono in quel modo difficilmente contestabile. Vai tu a convincere del contrario 18mila utenti che hanno condiviso un post di dubbia veridicità! Una delle figure chiave delle fake news della Lega è stato e forse ancora è il napoletano Marco Mignogna, che gestiva il sito di Noi con Salvini, oltre a una ventina di portali pro-Salvini, pro-M5S e pro-Putin (nel novembre 2017 si è occupato del caso il NYT, ndr).

Quanto di ciò che hai detto fin qui vale anche per il Movimento 5 Stelle?
Non c’è dubbio che dietro al M5S ci sia una buona azienda di marketing politico. La loro propaganda è più decentralizzata rispetto a quella della Lega, tutta controllata da Morisi. Creano piccole reti, appoggiandosi agli attivisti “grillini” e risparmiando così denaro. Non
pagano per rendere virali i post di Grillo o di Di Battista. Anche se oggi, con il M5S al governo, la strategia è in parte cambiata.

Quanto influisce l’attività di trolling sul dibattito politico?
Dipende dal contesto politico e dal Paese, in alcuni casi può essere molto violenta. Per creare account su Twitter esiste un software acquistabile online, che ti permette di generarne mille in tre ore, ognuno con foto e nome distinto. Parliamo di account verificati con un numero di cellulare: c’è un servizio russo che, per 10 centesimi, te ne fornisce uno appositamente. Con 300 o 400 euro puoi crearti in un pomeriggio un migliaio di account Twitter verificati. A quel punto puoi avviare un tweet bombing, cambiando la percezione di una notizia. È semplice e costa poco.

Ci sono conferme sull’esistenza di una rete di troll leghisti?
Non è facile rispondere, perché ci sono diverse tipologie di reti troll, organiche o artificiali. A volte distinguere le due senza tool specializzati è quasi impossibile. Per esempio, le reti di troll formate da persone reali spesso si auto-organizzano, sapendo benissimo che un utente singolo può avere due o più account social sullo stesso network. È normale vedere un utente pro-Lega o pro-M5S gestire anche cinque account con nomi diversi: cento persone in un gruppo segreto di Facebook o su un canale Telegram, con cinque account ciascuno, fanno 500 troll pronti ad attaccare, e scoraggiare utenti standard a un confronto politico.

Esistono quindi reti costruite ad hoc? 
Una di queste botnet è stata smantellata da un gruppo di hacker italiani sei mesi fa: era collegata a una società romana che gestiva una rete di 3mila account Twitter, collegati a un migliaio di account Facebook. Non mi stupirei se un team gestito da Morisi avesse automatizzato e controllasse qualche centinaio o migliaio di account. Qualcosa di simile era già nelle loro mani, con un sistema di tweet automatici su diversi account (documentato da diverse fonti giornalistiche lo scorso gennaio, ndr). L’unica pecca del loro team è la sicurezza informatica, come si è potuto notare dal leak delle informazioni del loro server, avvenuto all’inizio di quest’anno.

Cosa sappiamo sul “gonfiamento” dei numeri social di Salvini?
Abbiamo notato alcune discrepanze, ma in questo momento di grande successo mediatico di Salvini non sono più rilevanti. Abbiamo scoperto alcune botnet di Twitter nate contemporaneamente che, dopo pochi giorni e nello stesso momento, hanno seguito tutte l’account ufficiale di Salvini. La relazione con il suo account era il fatto che supportavano account di estrema destra in Europa, quindi attribuibili a persone vicine a Voice of Europe e gruppi simili, legati a Steve Bannon, come #Altright o #DefendEurope. La pratica di creare fake account è comune: solo pochi giorni fa Twitter ne ha cancellati alcuni milioni.

C’è un modo per riparare simili storture?
C’è poco da fare. In seguito allo scandalo Cambridge Analytica, Facebook ha colpito tutti, impedendo ai ricercatori di studiare questi fenomeni. Le cose non sono cambiate, anzi. Anche a seguito dell’adozione del GDPR (il regolamento sulla protezione dei dati personali, ndr) nei prossimi anni vedremo come si raffineranno le campagne politiche online: sarebbe utile avere leggi che impongano maggior trasparenza su come funzionano le reti social e, naturalmente, maggiore tutela per i cittadini, in particolare per quanto riguarda i propri big data.

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Facebook chiude 23 pagine Fake 
A due settimane dalle elezioni europee, Facebook chiude 23 pagine italiane che contavano oltre 2,46 milioni di follower che condividevano informazioni false e contenuti divisivi contro i migranti, antivaccini e antisemiti: tra queste, oltre la metà era a sostegno di Lega o M5S. La decisione è arrivata dopo un'accurata indagine della ong Avaaz, 
che si occupa di diritti umani e campagne ambientali...


Intervista a un ex hacker e spin doctor digitale,   che ci parla della strategia comunicativa della Lega, dell’affaire Cambridge Analytica,   del business dei falsi profili twitter, del Gdpr, Facebook

"Se questo è un ministro",   polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova.

"Se questo è un ministro", 
polemica social per il selfie di Salvini ai funerali di Stato a Genova...



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Previsioni per il 2019



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lunedì 14 ottobre 2019

Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?


Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?

Il Tar del Lazio ha imposto ai ministeri della Salute, dell’Ambiente e dell’istruzione di dare il via ad una campagna sul corretto uso dei cellulari. Ma davvero i telefonini possono aumentare il rischio di tumori al cervello? Per capirlo serve altro tempo. 
Ecco intanto i nostri consigli per un uso più consapevole.

Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?

Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?

Sei mesi. È il tempo che i ministeri dell'Ambiente, della Salute e dell'Istruzione hanno per promuovere una campagna informativa sulle modalità corrette di utilizzo dei cellulari. A stabilirlo è una recente sentenza del Tar del Lazio, che ha di fatto accolto il ricorso presentato dall’Associazione per la prevenzione e la lotta all’elettrosmog.

Ma la verità è che, a distanza di molti anni dall’arrivo dei cellulari nella nostra vita, ancora non si riesce a dare una risposta chiara alla domanda: i telefonini possono aumentare il rischio di tumori al cervello? Per capirlo serve altro tempo. In ogni caso, quello che possiamo 
fare oggi è usare il telefono in modo corretto.

Altroconsumo si è occupata diverse volte dell’argomento e per questo chiederemo ai Ministeri chiamati in causa dal tribunale di essere coinvolti sia nello sviluppo 
e che nella divulgazione della campagna.

Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?

Cellulari: sono Pericolose le Onde Elettromagnetiche?


La prevenzione è usare i telefonini correttamente
I cellulari emettono onde a diretto contatto con la testa. La preoccupazione è che possano provocare danni biologici. Per evitare i rischi bastano semplici precauzioni: eccole.

Usa l’auricolare: è sufficiente allontanare il cellulare dalla testa soltanto di qualche centimentro perché il livello di esposizione scenda drasticamente.
Fai telefonate brevi, soprattutto quando la linea è disturbata e il telefono è costretto a lavorare a piena potenza, con maggiore emissione di radiazioni
Evita di telefonare quando la copertura del segnale è inferiore, per esempio in ascensore o nel treno.
Tieni il cellulare lontano dalla testa durante la composizione del numero (momento in cui funziona alla massima potenza).
Bambini: teniamoli alla larga
I bambini sono potenzialmente più vulnerabili rispetto agli adulti ai campi elettromagnetici. Un po’ perchè il loro sistema nervoso è in fase di sviluppo, un po’ perchè fisicamente la circonferenza del cranio è più piccola e quindi penetrabile in profondità rispetto a quella di un adulto. In attesa di certezze, meglio essere prudenti: la cosa migliore è tutelare i più piccoli limitando
 l'uso di cellulari e tablet.

Ma di quali onde parliamo?
Tutti i cellulari emettono radiazioni. La quantità di radiazioni assorbite dal corpo è misurata in Sar (Specific Absorption Rate) espresso in W/Kg (watt per chilo). Questa unità di grandezza misura la quantità di radiazioni assorbite e le traduce nel rischio di effetto termico al quale il corpo è esposto. Per garantire la sicurezza degli utenti l’Unione Europea ha fissato a 2 W/kg il limite massimo consentito per le emissioni dei cellulari per evitare qualsiasi effetto termico. Per assicurarsi di rispettare la norma, tutti i produttori testano i propri apparecchi prima di metterli sul mercato. Lo fanno ipotizzando lo scenario peggiore, quando i telefonini funzionano alla massima potenza ed emettono più onde, situazione che però si verifica di rado nell’uso quotidiano. Questo dato, dunque, non è un buon indicatore per scegliere di acquistare un telefonino anziché un altro. Per avere un’idea più chiara dell’esposizione a cui ci si sottopone usando quotidianamente il cellulare, bisogna valutare gli apparecchi nelle medesime condizioni, simulando il loro comportamento in una situazione reale d’uso. Solo in questo modo è possibile confrontare tra di loro i diversi modelli di telefonino, paragonando le rispettive emissioni di onde. E scegliere quello che ne produce di meno. Nei nostri test, infatti, abbiamo fatto entrambe le prove. I risultati sono rassicuranti: nessun cellulare, tra quelli testati, si avvicina ai limiti imposti dalla legge. Questo non toglie tuttavia i dubbi sul fatto che i cellulari possano causare effetti biologici e aumentare il rischio di tumori cerebrali.



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5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi


5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi


Il 5G è la tecnologia di rete mobile che si prepara a superare l'attuale 4G LTE. Al momento è in fase sperimentale in alcune città e dovrebbe essere lanciata sul mercato italiano a partire dal 2020. Abbiamo fatto le prime prove sul campo: la rete è ancora instabile, ma come funzionerà e quali i pro e i contro che potrebbe comportare in futuro? Tanti i timori sui pericoli per la salute, ma non c'è da andare nel panico: vi spieghiamo perché.

L'Italia si sta preparando a quella che viene definita la "rivoluzione" del 5G. Ma, mentre le sperimentazioni di questa nuova tecnologia di connessione mobile sono già in corso, circolano anche grandi timori sui rischi che potrebbe comportare per la salute pubblica. Ecco cos’è il 5G e perché non bisogna allarmarsi.

5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi



Cos'è il 5G
Con il termine 5G si indicano tecnologie e standard di nuova generazione per la comunicazione mobile. Questa “quinta generazione”, che segue le precedenti 2G, 3G e 4G, è quindi la tecnologia di connessione che utilizzeranno i nostri smartphone, ma anche e soprattutto i tanti di oggetti connessi (IoT, Internet of things) intorno a noi, destinati a essere sempre più numerosi (elettrodomestici, auto, semafori, lampioni, orologi…). Una delle caratteristiche principali di questa rete è, infatti, proprio quella di permettere molte più connessioni in contemporanea, con alta velocità e tempi di risposta molto rapidi.

Non si tratta, inoltre, della semplice evoluzione dell’attuale rete 4G, perché ha caratteristiche tecniche completamente diverse, non solo per la quantità di banda più ampia e per la velocità; si tratta proprio di un modo diverso di gestire le comunicazioni e la copertura, con frequenze, antenne e tecniche di trasmissione dei dati differenti rispetto al passato.

5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi


Quando arriverà il 5G
L'implementazione della rete 5G sta attraversando una fase sperimentale solo in alcune città, il lancio sul mercato vero e proprio - con copertura e servizi maggiori - dovrebbe avvenire nel 2020. Al momento, per le sperimentazioni, Vodafone sta coprendo Roma, Milano, Torino, Bologna e Napoli. TIM è presente a Torino, Genova, San Remo, San Marino, Bari e Matera. Wind Tre ha puntato su alcune città, come Prato e L’Aquila. Iliad sembra sui blocchi di partenza. Tim e Fastweb promettono diffusione a tutti entro il 2020, Vodafone sul sito prevede una copertura del territorio italiano, progressivamente nelle principali città, nel corso dei prossimi anni.

5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi


Vantaggi e svantaggi
Rispetto alle precedenti tecnologie, permette maggiore velocità di trasmissione, tempi di risposta (latenza) più rapidi e la possibilità di gestire un numero molto superiore di connessioni in contemporanea.

Per quanto riguarda la velocità, potenzialmente il 5G può arrivare fino a 10 Gigabit per secondo. La prospettiva più accreditata ipotizza però una velocità 10 volte più elevata rispetto al 4G. Se quindi, per fare un esempio, consideriamo di passare dai 25 megabit al secondo del 4G ai 250 megabit al secondo del 5G, si potrebbe scaricare un cd audio (700 megabyte) in una ventina di secondi, 
contro gli attuali 4 minuti.

Le prestazioni saranno superiori soprattutto in termini di latenza, cioè di tempi di risposta al comando dato all’oggetto connesso (ad esempio, se pensiamo alle auto connesse, è il tempo che trascorre tra quando un sensore per la strada che indica lo stop trasmette all’auto il comando di fermarsi e il momento in cui l’auto effettivamente si ferma). Questo tempo di risposta scenderà a 1-10 millisecondi, circa 10 volte meno degli attuali 50-100 millisecondi del 4G (e questo è uno degli aspetti considerati più importanti per i nuovi servizi digitali che si pensa di sviluppare).

Il fatto che gran parte del lavoro, nelle reti 5G, sia fatto dal sistema di antenne e non dall'hardware dello smartphone, potrebbe anche comportare un notevole risparmio energetico, con una maggiore durata delle batterie dei device.

I veri cambiamenti per le persone, però, non saranno solo relativi alla velocità e alle prestazioni dei loro dispositivi, saranno legati soprattutto ai potenziali nuovi servizi possibili.

5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi



Usare il 5G: quali cellulari lo supportano
Al momento in Italia sono disponibili quattro smartphone che supportano le reti 5G: parliamo di LG V50 ThinQ 5G, venduto a un prezzo di circa 1.200 euro, di Oppo Reno 5G a 900 euro, del modello Xiaomi Mi Mix 3 5G, disponibile a circa 800 euro, e di Samsung Galaxy S10 5G a circa 1200 euro. Parliamo di modelli top di gamma che stiamo testando per cui, a prescindere dal supportare la tecnologia 5G, potrebbero rivelarsi un'ottima scelta.  

Il 5G: effetti sulla salute
Nonostante il panico scatenatosi intorno al 5G (si teme sarà causa di varie malattie, ad esempio tumori), al momento non ci sono dati che permettono di escludere o confermare che questa nuova tecnologia abbia effetti dannosi per la salute o meno (non ci sono risposte chiare e definitive neanche sulle tecnologie precedenti, figuriamoci sul 5G che è ancora agli albori). Per poter valutare i potenziali effetti negativi sulla salute del 5G possiamo però rifarci alle prove disponibili sugli effetti delle emissioni legate a 2G e 3G, cercando di ipotizzare cosa possa verificarsi in conseguenza di esposizioni differenti. Ma anche in questo caso, serviranno anni di studi dalla sua diffusione per avere risposte chiare. Quello che sappiamo fino ad ora, però, rassicura più che allarmare: il 5G viaggerà sì su frequenze più elevate rispetto a 2G, 3G e 4G (e questo è uno degli elementi che spaventa), ma la rete di antenne, in realtà, utilizzerà segnali dotati di potenza inferiore (spieghiamo in seguito perché). Inoltre resta fermo il fatto che, anche se a frequenze maggiori, la capacità di penetrazione di queste onde nei tessuti umani rimane sempre molto bassa e limitata agli strati superficiali della pelle, mancando anche l’energia necessaria per causare un danno al Dna. Con una rete di questo genere, per la capillarità delle antenne del 5G, l’intensità dei segnali necessari e le frequenze utilizzate, viene da pensare a un’esposizione limitata e dagli effetti negativi paragonabili o addirittura inferiori a quelli derivanti dall’uso di tecnologie precedenti.

5G: cos’è e perché non c'è da allarmarsi


Quali sono i timori?
Ecco quali sono i dubbi che potrebbero venire sul 5G se ci si ritrovasse a leggere un po’ di contenuti circolanti sul tema. Ed ecco perché in molti casi si tratta di false credenze o “mezze verità”, che vanno molto ridimensionate.

Conclusione: le onde elettromagnetiche sono pericolose?
Sulle onde elettromagnetiche emesse con il 5G, come dicevamo, non ci sono ancora dati che permettono di capire se ha effetti dannosi. Ci sono dati validi, riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale, sull’esposizione alle frequenze di 2G e 3G, dati che non danno ancora risposte definitive e che, comunque, non possono essere trasferite in automatico sul 5G
 (antenne e frequenze sono molto diverse).

Si tratta, comunque, di analisi da cui emerge un quadro contraddittorio, ma tendenzialmente non preoccupante. Alcuni studi di tipo caso-controllo (basati sul confronto tra malati e sani rispetto al tipo di esposizione che hanno avuto in passato) hanno rilevato un lieve aumento del rischio di tumori cerebrali e del nervo acustico nelle persone con un uso elevato e prolungato del cellulare (non si parla di antenne), mentre altri studi epidemiologici (considerati più chiari nelle conclusioni perché verificano nel tempo l’emergere dei casi), ci dicono che da prima dell’arrivo del cellulare ad oggi non c’è stato un aumento significativo dei tumori ascrivibile all’uso del cellulare. Lo Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) sulla base di queste analisi, ha classificato i campi elettromagnetici a radiofrequenza come cancerogeni di gruppo 2B, ovvero come "possibilmente cancerogeni": è il livello più basso di rischio, usato quando ci sono prove limitate. Sulla base di quello che vediamo, quindi, non dobbiamo preoccuparci particolarmente; ma per evitare qualsiasi tipo rischio anche solo potenziale, è sempre meglio adottare alcuni semplici accorgimenti in modo da ridurre l’esposizione di testa e corpo alle emissioni dei cellulari. 

5G (quinta generazione, acronimo di 5th Generation)   indica tecnologie di telefonia mobile di quinta generazione,   quindi più potenti di quelli di quarta generazione,   che permettono prestazioni e velocità molto più elevate .

5G (quinta generazione, acronimo di 5th Generation) 
indica tecnologie di telefonia mobile di quinta generazione,
 quindi più potenti di quelli di quarta generazione, 
che permettono prestazioni e velocità molto più elevate ...

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