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giovedì 7 novembre 2013

Aggirare la Censura Tunisina



La storia del collettivo Nawaat.org, principale riferimento dell'informazione indipendente,
 e la lotta contro la repressione della stampa da parte di Tunisi.

- La libertà di stampa è da sempre una delle realtà più ferite della transizione tunisina. Negata durante il regime di Ben Ali, continua ad essere oggetto di crescenti divieti.

Nulla di più preoccupante, infatti, nel constatare che dopo la caduta del regime dittatoriale, le "luminose" promesse di dialogo, pluralismo e indipendenza dell'informazione non sono state esaudite.
Del resto, i dati parlano chiaro. Reporters sans frontières, l'organizzazione non governativa internazionale che agisce da 25 anni in difesa della libertà di stampa in tutto il mondo, ha stilato la consueta classifica annuale, che vede la Tunisia 132esima su un totale di 179 Paesi, scivolando dunque di quattro posti, quando ne aveva guadagnati oltre 30 nel 2011. Perché? Perché c'è stato un aumento nelle aggressioni ai giornalisti nel primo trimestre del 2012 e perché le autorità hanno mantenuto un vuoto legislativo rimandando l'implementazione dei decreti leggi sulla regolamentazione dei mezzi di informazione.

Durante la rivoluzione del 2011, blogger e cyber-dissidenti sono riusciti a mostrare all'opinione pubblica internazionale la verità sui massacri in corso da parte del regime. "Le televisioni e i giornali nazionali, fedeli alle direttive di palazzo, tacevano sulle rivolte in corso. Abbiamo capito che c'era un vuoto tra la documentazione prodotta dai testimoni degli eventi e la fruibilità della stessa da parte dei mezzi di informazione. Il nostro sito era ancora oscurato in Tunisia, ma perfettamente visibile al di fuori dei confini nazionali. Era arrivato il momento di superare il blocco mediatico imposto dal regime", racconta il blogger Houssem Hajlaoui, membro del collettivo Nawaat.org, il maggiore riferimento per l'informazione indipendente in Tunisia.

Come aggirare la censura? Nawaat è riuscito nell'intento. L'idea primordiale del blog collettivo nasce nel 2004, anno in cui Sami Ben Gharbia, Riadh Guerfali e Sufien Guerfali, tre ragazzi tunisini in esilio politico, decidono di dare la possibilità ai cittadini di esprimersi creando uno spazio per tutte le voci dissidenti che vogliono resistere alla dittatura.

"Cosciente che la conquista della libertà di espressione è una lotta quotidiana da condurre in totale indipendenza, Nawaat non riceve finanziamenti da partiti e non accetta sovvenzioni pubbliche", con queste parole i blogger chiariscono le loro finalità sul sito web. Nel 2011, Nawaat ha conseguito dalle ong Reporters sans frontières ed Electronic Frontier Foundation, il World Summit Award come riconoscimento per il lavoro fatto prima e durante la rivoluzione tunisina, ricoprendo un ruolo cruciale nella definizione delle dinamiche sociali e politiche del Paese.

Il sito, ha creato una pagina dedicata al "dossier Tunileaks", in cui la redazione ha pubblicato clandestinamente tutti i cablogrammi messi a disposizione da Wikileaks in merito al regime di Ben Ali, oltre a quello sugli avvenimenti di Sidi Bouzaid, su cui i media tradizionali hanno taciuto. "La diffusione di questi documenti ha provocato una forte scossa all'interno del Paese - ha sottolineato Sami Ben Gharbia - Dire che abbia contribuito al sollevamento è troppo, ma se non altro è servito a far capire alla gente che Ben Ali non godeva più del pieno supporto americano. Grazie a TuniLeaks si è fatta strada l'idea che, eccezion fatta per il governo francese, il re era nudo e poteva essere attaccato".

Per evitare i blocchi della censura, Sami e compagni hanno utilizzato delle mailing list per diffondere gli articoli e le piattaforme Youtube e Dailymotion per divulgare i contenuti video. Ma ecco la chiave di volta: Il 14 gennaio 2011, giorno della fuga di Ben Ali dal Paese, la polizia informatica ha sdoganato le censure su Nawaat, che è dunque tornato ad essere visibile. "La caduta del regime ci ha offerto la possibilità di lavorare allo scoperto e con più serenità - ha commentato Sami Ben Gharbia - La creazione dell'associazione risponde all'esigenza di moltiplicare le nostre attività e di proporre iniziative a più stretto contatto con la società".

I membri del collettivo hanno avuto la possibilità di ritornare in Tunisia uscendo dall'anonimato e tuttora continuano a lavorare per l'indipendenza dell'informazione nella loro sede a Tunisi. Il sito, infatti, raccoglie in media 87,244 visite al giorno e continua a riconfermarsi come fonte primaria dell'informazione in Tunisia.

di Beatrice Cati per http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=90298
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leggi anche 


NON AFFIDARTI A DEI CIARLATANI GIOCA  LE TUE CARTE 

http://maucas.altervista.org/imago_carte.html

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lunedì 24 settembre 2012

IRAN: blocca Google e Gmail



L'Iran censura Google e si auto produce la propria rete internet. L'annuncio del governo è giunto oggi, dalla tv di stato iraniana: basta con Google e Gmail, d'ora in poi i cittadini iraniani avranno un server su misura per navigare in internet.

Insomma, da oggi Google non è più disponibile sui computer iraniani, secondo quando affermato da uno sconosciuto funzionario governativo, tale Khoramabadi: "Tra poche ore, Google e Gmail saranno bloccati in tutto il Paese". La goccia che ha fatto traboccare il vaso sarebbe stato lo spazio che il motore di ricerca americano avrebbe garantito al famigerato film "L'innocenza dei musulmani". Da qui la decisione: muovere il traffico internet su una rete domestica che innalzerebbe il livello di sicurezza. E di certo anche quello di controllo e censura da parte delle solerti autorità iraniane.

Già oggi, infatti, i filtri posti dal governo iraniano alle ricerche internet sono tra i più pervasivi del mondo e impediscono ai cittadini di visitare numerosi siti considerati da Teheran criminali o offensivi. Numerosi i blocchi imposti nel 2009 durante le proteste e le manifestazioni anti-Ahmadinejad a social network come Facebook e Twitter e siti di condivisione di video (Youtube su tutti).

Dietro l'iniziativa anti-Google sta la ferrea convinzione della necessità di possedere un proprio sistema internet indipendente dai controlli delle potenze occidentali. Già ad agosto il ministro delle Comunicazioni, Reza Tagipour, aveva annunciato tale intenzione: "Internet non dovrebbe essere nella mani di uno o due Paesi al mondo. La creazione di un network nazionale farà sì che la preziosa intelligence iraniana non sia accessibile a tali poteri".

Nuove sanzioni dall'Unione Europea? Intanto, mentre i venti di guerra continuano a soffiare tra Iran e Israele, Francia, Germania e Regno Unito chiedono all'Unione Europea di approvare nuove sanzioni contro Teheran e il suo programma nucleare.

I ministri degli Esteri dei tre Paesi hanno scritto una lettera congiunta a Catherine Ashton, rappresentante UE per gli Affari Esteri, facendo pressioni perché nuove restrizioni vengano assunte il 15 ottobre, data del prossimo meeting a Bruxelles. Obiettivo, fare pressioni sull'Iran perché interrompa il programma nucleare ed evitare così una guerra - considerata sempre più probabile - con Tel Aviv.

Dall'altra parte, però, la volontà di pacificazione non è poi così forte: Israele, detentore di armi nucleari, ha rigettato con forza l'idea di organizzare una conferenza per parlare di disarmo in Medio Oriente.

 Nena News

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=35502

leggi anche

 http://cipiri.blogspot.it/2012/09/libia-linnocenza-dei-musulmani.html

Libia: L'Innocenza dei Musulmani


Libia:
 http://cipiri.blogspot.it/2012/09/trovato-il-regista-un-truffatore-copto.html

Trovato il regista: un truffatore copto californiano


Trovato il regista: un truffatore copto californiano

L'autore del controverso film è un produttore di droga in carcere per truffa. Gli attori si difendono: ha doppiato i dialoghi. Fratelli Musulmani: gli USA non sono responsabili


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lunedì 18 giugno 2012

Usa, Italia, Spagna: chiedono censura a Google




Usa, Italia, Spagna:   chiedono  censura a Google

 Sempre più Stati, Italia inclusa, chiedono a Google di rimuovere contenuti online, soprattutto politici. In testa ci sono gli Stati Uniti, con 6.192 richieste. Ma il motore di ricerca soddisfa meno di una richiesta su due. É tutto scritto nel "Transparency Report" del colosso di Mountain View.

Quando nel 2010 Google ha iniziato a pubblicare il suo "Transparency Report", cioè il rapporto che dettaglia le domande di rimozione di contenuti dai servizi del colosso di Mountain View da parte dei governi, l'azienda ha reso noto al pubblico che parte delle circa mille richieste riguardava contenuti politici. Oggi all'analista Dorothy Chou non restano molti dubbi: «Speravamo fosse un'aberrazione. Ora sappiamo che non lo è», scrive nel post sul blog ufficiale di Google che ne presenta la quinta edizione, appena pubblicata.
Non è il numero di richieste provenienti dalle autorità di tutto il mondo a essere definito «preoccupante»: tra le 1.062 riguardanti il periodo luglio-dicembre 2009 e le 1.028 tra luglio e dicembre 2011 (i dati resi noti in queste ore) non c'è una differenza sostanziale. A preoccupare è che il tentativo di ottenere censure a sfondo politico è divenuta la regola, più che l'eccezione. «È allarmante non solo perché la libera espressione è a rischio», nota Chou, «ma perché alcune di queste richieste provengono da paesi insospettabili, democrazie occidentali tipicamente non associate alla censura».
Dalla Spagna, per esempio, la cui authority per la protezione dei dati ha tentato di ottenere la rimozione di 270 risultati di ricerca collegati ad articoli di stampa e post su blog che facevano riferimento a «individui e personaggi pubblici, compresi sindaci e pubblici ministeri». Google, che l'alta corte spagnola ha portato di fronte alla giustizia europea proprio sul tema del diritto all'oblio, non ha obbedito. Ma anche dagli Stati Uniti, dove le richieste di rimozione sono aumentate addirittura del 103% rispetto al rapporto precedente: un incremento che non ha paragoni nel resto del mondo e che si sostanzia nel tentativo di far sparire dal web, tra gli altri, 218 siti ritenuti diffamatori e 1.400 video su YouTube per presunte molestie. Un totale di 6.192 contenuti da rimuovere in 187 richieste diverse, cui Google ha ottemperato in meno di un caso su due.
Richieste di censura 'democratica' anche dalla Polonia (negate), dal Regno Unito (cinque account YouTube rimossi – 640 video – per «promozione del terrorismo») e dalla Germania, dove le agenzie governative hanno ottenuto l'eliminazione di 898 risultati di ricerca contenenti critiche nei loro confronti giudicate dalla giustizia «non credibili». In Canada la richiesta più stravagante: censurare un video su YouTube di un cittadino intento a urinare sul passaporto e mandarlo giù per lo sciacquone. Anche alle potenze emergenti piace la censura politica. In Brasile quattro profili legati alla campagna elettorale sono stati eliminati su richiesta della giustizia, mentre in India – dove Google è a processo contro il governo proprio per la responsabilità del monitoraggio dei contenuti online – si è registrato un incremento delle richieste del 49 per cento. Giungono poi le prime richieste anche da quattro paesi che non l'avevano mai fatto prima, e cioè Bolivia, Repubblica Ceca, Ucraina e Giordania. E in Tailandia il reato di lesa maestà ha costretto Google a impedire l'accesso a un centinaio di video all'interno del Paese.
Quanto all'Italia le richieste di rimozione sono state 28, per un totale di 96 contenuti (68 sono video su YouTube), ma – contrariamente al rapporto precedente – non ci sono stati tentativi di censurare video satirici sulle disavventure sessuali dell'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Il tentativo era, in ogni caso, fallito.
Nel rapporto vengono dettagliate anche le richieste governative di ottenere dati – per esempio, l'indirizzo ip - sugli utenti che si collegano ai servizi di Google. Come nota Andy Greenberg su Forbes, anche qui le cifre sono in aumento: negli Stati Uniti, si registra un più 37% rispetto allo stesso periodo del 2010 (e più 76% rispetto al 2009); nel resto del mondo, in un anno si è passati da 9.600 a 11.936. Il tasso di accettazione è molto più alto negli States (93%) che altrove (64% nel Regno Unito, 45% in Germania). Come spiega Chou a Greenberg, per essere accettate le richieste devono essere in forma scritta, provenire dall'autorità competente, riguardare un crimine ed essere sufficientemente precise rispetto agli utenti e al lasso temporale interessati.
Un'ultima sezione riguarda le richieste di rimozione di contenuti per violazione del diritto d'autore online. Le richieste di rimozione di url sono – come si vede dal grafico riportato qui sotto – in pressocché costante aumento e sono state oltre 1,8 milioni solo nell'ultimo mese. Il maggior numero di richieste di rimozione riguarda, com'era facile prevedere, siti di filesharing come Filestube (103 mila), Extratorrent (50 mila) e Bitsnoop (42 mila).

Il rapporto di Google ha il merito indubbio di ricondurre il dibattito sulla censura online a numeri e fatti, piuttosto che a speculazioni e questioni di principio. Un esempio che molte altre aziende, Facebook su tutte, potrebbero seguire per rendere più trasparente il loro rapporto con gli iscritti, e con i loro diritti fondamentali. Twitter lo ha fatto quando ha annunciato di documentare su un apposito sito la censura selettiva dei tweet su base locale, e il caso della sua resistenza alle richieste del governo pakistano – costato un temporaneo blackout del servizio – dimostra che sta facendo sul serio. Ma c'è anche chi chiede di più, anche a Google. Che «è stato criticato per non avere rivelato molto circa la sua presunta partnership con la National Security Agency dopo un attacco cinese ai suoi sistemi nel 2010», scrive Greenberg. E l'azienda non ha ancora preso una posizione su Cispa, la norma sulla cybersicurezza che renderebbe lo scambio di dati tra gli intermediari e le agenzie governative molto più semplice, nota ancora. Troppo, secondo i tanti critici. Anche su questo la trasparenza non può che far bene.
Fabio Chiusi http://www.linkiesta.it/transparency-report-google#ixzz1y9KHBhga
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lunedì 13 febbraio 2012

censura su Facebook



 il social network

 Facebook

  ha creato un sistema di filtro sui contenuti degli utenti. Un precedente che rischia di soffocare per sempre il Web 2.0



  I contenuti degli utenti prima di tutto. E la loro circolazione libera per Internet senza freni e paletti. Da anni il mantra del Web 2.0 è questo: nei blog tutti possono dire la loro, su Wikipedia chiunque può aggiornare qualsiasi voce, su Flickr tutti gli aspiranti fotografi possono mettersi in mostra e così via, in infinite possibilità e siti. Ma su Facebook, una delle piattaforme di maggior successo del Web 2.0 con i suoi oltre 300 milioni di iscritti in tutto il mondo è così? Non proprio.

Negli ultimi tempi le regole di pubblicazione si stanno facendo sempre più stringenti e nella rete degli utenti censurati non cade solo chi viola palesemente la legge (per esempio con la pubblicazione di foto pedoporno) ma anche chi tenta di usare la creatura di Mark Zuckerberg (che nel 2004, da studente dell'Università di Harvard, mise in piedi il social network) per motivi del tutto legittimi e innocui.

E' quello che è per esempio successo a un utente italiano che qualche settimana fa ha provato a condividere su Facebook la notizia del quotidiano inglese 'The Times' (smentita dal governo italiano) secondo la quale l'Italia avrebbe pagato delle tangenti ai talebani in Afghanistan. Non appena ha provato a inserire il link che portava all'articolo del sito del giornale britannico, l'account è stato sospeso. Nessuno degli 'amici' digitali poteva più accedere al suo profilo che non si poteva più aggiornare con l'inserimento, per esempio, di nuovi 'status' o immagini. Il tutto perché, come diceva il sistema, era "stata rilevata un'attività sospetta nel tuo account Facebook, che è stato temporaneamente sospeso come misura di precauzione".

Nelle ore successive l'account è stato riattivato. Ma per ritornare in pubblico l'utente ha dovuto cambiare password. E soprattutto non gli è mai arrivato alcun messaggio che gli comunicava il motivo dell'immotivato blackout. 'L'espresso' ha dunque provato a chiedere spiegazioni a Facebook dell'accaduto, ma dal neonato ufficio commerciale italiano non è arrivata alcuna risposta. Neanche da Dublino, dove invece ha sede il quartier generale europeo del social network, sono state fornite delle spiegazioni chiare


 Ma, almeno lì, abbiamo trovato un interlocutore che ha prestato attenzione alle nostre domande. Elizabeth Linder dell'ufficio comunicazione ha detto che, "se gli utenti trovano sul sito dei contenuti che secondo loro violano i termini di utilizzo, possono segnalarcelo: controlleremo i contenuti e li rimuoveremo se opportuno". In altre parole qualcuno ha segnalato che il link del 'Times' violava le condizioni di utilizzo e lo staff di Facebook ha ritenuto di oscurare temporaneamente l'account in questione. In realtà, leggendo i termini di Facebook, i contenuti dell'articolo in questione non infrangevano alcuna 'norma' del codice del social network come "Non denigrare, intimidire o molestare altri utenti" oppure "Non usare Facebook per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori".

Il problema è che quello che è successo per il link al 'Times' non è un caso isolato. Anzi: è ormai sempre più frequente su Facebook che utenti di tutto il mondo vedano i loro account oscurarsi. I temi che mettono di più in guardia lo staff di Facebook (con sospensioni temporanee o permanenti) sono tre: politica, sesso o questioni non ben definite dal punto di vista legale come la pirateria on line.


. Jibtel  .

lunedì 27 giugno 2011

BLOG DI CIPIRI: Agcom non censurare internet



BLOG DI CIPIRI: Agcom non censurare internet: " Agcom: non censurare internet! Manda un messaggio ..."

Il nostro governo ha lanciato un nuovo attacco alla libertà di accesso all'informazione, e già questa settimana l’Autorità per le comunicazioni (Agcom), un organismo di nomina politica, potrebbe votare una regolamentazione che censurerebbe internet definitivamente.

FIRMA QUI

http://www.avaaz.org/it/it_internet_bavaglio/?rc=fb&pv=0

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martedì 1 febbraio 2011

FERMA LA CENSURA





Per una moratoria alle nuove regole per la Rete, finché il Parlamento non deciderà in maniera esplicita sull’equilibrio tra diritto d’autore, accesso alla conoscenza e pericolo di nuove censure.


Immaginate che un giorno intere sezioni della vostra biblioteca vengano rese inaccessibili. Non vi verrà mai detto quali specifici libri, e per quale ragione sono stati rimossi, ma troverete solo un cartello che vi informa che qualcuno, da qualche parte, per qualche ragione, ha segnalato che i libri di quella sezione violano i diritti di qualcun’altro. Immaginate che anche dagli scaffali accessibili della biblioteca qualcuno rimuova costantemente libri senza che voi o gli altri altri utenti della biblioteca, possiate sapere quali volumi sono stati rimossi, e senza che vi sia data la possibilità di valutare se la rimozione di tali libri viola alcuni dei vostri diritti fondamentali.

Credete che questo non possa accadere in una democrazia?

Se il diritto d’autore non sarà regolamentato in modo da garantire che anche nella sfera digitale ci sia il giusto equilibrio tra i diversi interessi presenti nella società, da strumento di emancipazione dei produttori di contenuti, esso diverrà inevitabilmente un sistema di controllo e censura pervasivo.

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con la Delibera 668/2010 del dicembre 2010 ha posto in consultazione un testo che mira ad introdurre un meccanismo che le consentirà di inibire completamente l’accessibilità ai siti posti fuori dal territorio italiano e di rimuovere contenuti sospettati di violare il diritto d’autore in modo automatico e prescindendo da qualsiasi requisito di colpevolezza accertato dell’Autorità giudiziaria.

Le sezioni della “biblioteca” Internet a cui non potrete più accedere includeranno portali informativi esteri sospettati di violare il diritto d’autore senza che ciò sia in qualche modo accertato, gran parte dei sistemi comunemente utilizzati per avere accesso alle informazioni necessarie per lo scambio di software libero e per conoscere le opere disponibili nel pubblico dominio e distribuite con licenze aperte.

I singoli “libri” rimossi includeranno articoli pubblicati da giornali, banche dati di pubbliche amministrazioni e di privati, documenti riservati finiti in rete ed utili per conoscere fatti che l’opinione pubblica potrebbe non conoscere diversamente, video amatoriali e fotografie con sottofondo musicale caricate dagli utenti nelle piattaforme di condivisione, singole pagine di blog amatoriali contenenti anche un solo file in violazione del diritto d’autore.

Per scongiurare che tutto ciò avvenga in modo silenzioso, ci appelliamo all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni affinché effettui una moratoria sulla nuova regolamentazione sul diritto d’autore.

Nessuna nuova regolamentazione dovrà essere adottata finché il Parlamento non riuscirà ad essere sede di un grande dibattito pubblico alla ricerca di nuovi equilibri tra diritto d’autore e il pericolo di nuove censure e che porti ad introdurre misure che consentano la tutela del diritto alla conoscenza che la stessa Autorità Garante auspica.

Chiediamo questa moratoria perché sappiamo bene quanto regolamentazioni introdotte senza una corretta valutazione del loro impatto possano avere effetti molto diversi da quelli ipotizzati.

Chiediamo questa moratoria perché temiamo che i compiti che la regolamentazione affiderebbe all’Autorità Garante assumeranno dimensioni difficilmente gestibili dalla stessa Autorità e porteranno presto ad una congestione a cui seguirà probabilmente approssimazione o mera discrezionalità.

Riteniamo inoltre pericoloso che l’Autorità Garante si spinga a regolamentare direttamente ambiti che la Costituzione affida al potere legislativo e al potere giudiziario e che negli altri paesi sono stati oggetto di lunghe discussioni parlamentari o, come spesso è accaduto per la rete, di un’autoregolamentazione all’interno dei perimetri che le leggi tradizionali consentivano.

Ci appelliamo ai Parlamentari di tutti gli schieramenti affinché il Parlamento possa essere sede di un dibattito che coinvolga tutti gli attori della Rete e i maggiori esperti internazionali del settore.

In questo modo si otterrà il risultato di ridare al Parlamento il ruolo di interlocutore ineliminabile con la società civile, e di rispettare il principio di separazione dei poteri dello Stato.

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martedì 14 dicembre 2010

WikiLeaks , Berlusconi, censura Internet per favorire le sue televisioni



WikiLeaks:
"Berlusconi, censura a Internet per favorire le sue televisioni"


Caso WikiLeaks, un cablo dell'ambasciatore Usa Thorne: uso privato del potere. "Il decreto Romani offrirebbe le basi per azioni legali contro chi dovesse entrare in competizione contro membri del governo". "Così si azzittisce la concorrenza politica"

di VINCENZO NIGRO

ROMA - "Così Berlusconi vuole censurare Internet" per "favorire le proprie imprese" commerciali e azzittire "la concorrenza politica". Gli ultimi due cablogrammi dell'ambasciatore Usa a Roma David Thorne diffusi da WikiLeaks, riferiscono le critiche, le perplessità e i sospetti dell'amministrazione Usa sulla "legge Romani". È il decreto anti-Internet che il governo italiano voleva far passare tra fine 2009 e inizio 2010. In un cablogramma del 3 febbraio 2010, Thorne sintetizza: "la legge darà possibilità di bloccare o censurare qualsiasi contenuto", e "favorirà le imprese di Silvio Berlusconi di fronte ai suoi competitor". La conferma, secondo l'ambasciatore, di un "modello di business familiare in cui Berlusconi e Mediaset hanno usato il potere del governo in questo modo sin dai tempi del primo ministro Bettino Craxi".



Thorne spiega al Dipartimento di Stato che "la legge sembra scritta per dare la governo il potere di censurare o bloccare qualsiasi contenuto di Internet se il governo lo ritiene diffamatorio o che alimenti attività criminali". Il decreto "offrirebbe le basi per intraprendere azioni legali contro le organizzazioni di mezzi di comunicazione che dovessero entrare in competizione politica o commerciale contro membri del governo". Nel telegramma Thorne ricorda che da anni gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sul governo italiano perché approvi leggi che evitino conseguenze legali per chi opera su Internet: "Finora l'Italia ha fatto molto poco", e adesso "con questa legge salta ogni collaborazione e anzi propone una regolamentazione molto dura". Thorne, che era stato al fianco di John Kerry e dello staff di Obama nell'uso di Internet nella campagna elettorale americana del 2008, dice che la legge italiana potrebbe "essere un precedente per Paesi come la Cina, che potrebbero copiarla o portarla a giustificazione dei propri attacchi contro la libertà di espressione". Per Antonello Busetto, una fonte confindustriale ascoltata dall'ambasciata Usa, questa legge "potrebbe significare la morte di Internet in Italia".



Inoltre dirigenti di Sky-tv in Italia confermano all'ambasciata Usa che la legge Romani avrebbe "offerto molti vantaggi commerciali a Mediaset, la televisione del primo ministro, rispetto a Sky, uno dei suoi principali competitori". Questi dirigenti "confermano il ruolo di Romani come leader all'interno del governo per aiutare Mediaset a mettere Sky in una situazione di svantaggio". L'ambasciata Usa spiega a Washington che tra l'altro il governo vorrebbe obbligare gli Internet provider come YouTube o Blogspot "a diventare responsabili del contenuto che pubblicano così come lo sono le televisioni", cosa "impossibile sia dal punto di vista economico che da quello pratico". E "dato che la legge prevede di rendere passibili di diffamazione sia i siti d'opinione che gli Internet provider, alcuni la vedono come un modo per controllare il dibattito politico su Internet". Inoltre, aggiunge Thorne, "vista da una prospettiva commerciale, la norma diretta a limitare i video e le televisioni disponibili su Internet aiuta Mediaset mentre la società del premier esplora il mercato della televisione via Internet".



L'ambasciatore scrive ancora che l'authority italiana per le comunicazioni, l'Agcom, avrebbe il potere di bloccare i siti non italiani e di "imporre multe fino a 150 mila euro alle compagnie straniere: l'Autorità in teoria è indipendente, ma molti temono che non sia sufficientemente forte per resistere alle pressioni politiche". Thorne conclude, ricordando che il governo ha già preso diverse iniziative per controllare le reti sociali di Internet, "inclusa l'infame intenzione di esigere che i blogger debbano avere la licenza di giornalisti, che viene concessa dal governo".

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martedì 14 settembre 2010

Protesta Libertà e Giustizia , Facebook sta censurando


Protesta Libertà e Giustizia
"Facebook sta censurando"

Gli amministratori che stanno raccogliendo le firme contro l'attuale legge elettorale non possono più intervenire. Bloccata anche "Valigia Blu"

di CARMINE SAVIANO

ROMA - Facebook "censura la democrazia" e non "spiega il perché". Parole dure quelle usate dall'associazione Libertà e Giustizia 1 e dal Gruppo Valigia Blu. 2 Che accusano il "comportamento censorio" del popolare social network. All'origine della querelle "Ridateci la nostra democrazia", la pagina aperta su Facebook 3 per raccogliere adesioni contro l'attuale legge elettorale, il Porcellum. Una pagina ancora esistente ma sulla quale gli amministratori non possono intervenire in alcun modo. LeG e Valigia Blu dichiarano di voler denunciare questa situazione con ogni mezzo. E, tra le iniziative, annunciano l'apertura su Facebook della pagina "Ridateci ridateci la nostra Democrazia".

FIRMA per una nuova legge 4/Sito LeG 5/Facebook 6/ Valigia Blu 7

Le firme contro il Porcellum. La raccolta di firme contro l'attuale legge elettorale è partita lo scorso 6 settembre. A oggi, sono state raccolte 100mila adesioni. Il problema riguarda la pagina Facebook dedicata all'iniziativa. LeG e Valigia Blu dichiarano che "risulta ancora esistente e che continua a raccogliere iscrizioni e messaggi da parte degli iscritti, che sono al momento più di 21.500", ma gli amministratori "non possono intervenire in alcun modo per pubblicare aggiornamenti o moderare eventuali contenuti non opportuni scritti dagli altri partecipanti".

Le accuse a Facebook. La pagina "Ridateci la nostra democrazia" è inaccessibile dalla mattina dell'8 settembre. Da subito, LeG e Valigia Blu cercano di ottenere spiegazioni, attraverso ogni possibile canale. "Ma Facebook finora non ha ritenuto di dover dare risposte, nemmeno se si tratta di un malfunzionamento o di un'azione deliberata, legata a una improbabile violazione del regolamento o, peggio ancora, alla segnalazione non giustificata da parte di chi non gradisce l'iniziativa". E oggi, dopo cinque giorni di attesa, "hanno deciso di denunciare il comportamento censorio di Facebook con ogni mezzo finché non otterranno risposte convincenti e il pieno ripristino delle funzionalità".

La risposta di Facebook. E proprio quando parte la denuncia di LeG e Valigia Blu, arriva una parziale risposta dalla direzione del social network, che in una mail fa sapere che starebbe "valutando la situazione". Intanto, già sono state attivate delle pagine parallele. 8 Su Facebook è attiva "Ridateci ridateci la nostra democrazia". E su Twitter la mobilitazione è all'indirizzo twitter. com/noporcellum.


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