il social network
ha creato un sistema di filtro sui contenuti degli
utenti. Un precedente che rischia di soffocare per sempre il Web 2.0
I contenuti degli utenti prima di tutto. E la loro circolazione libera per Internet senza freni e paletti. Da anni il mantra del Web 2.0 è questo: nei blog tutti possono dire la loro, su Wikipedia chiunque può aggiornare qualsiasi voce, su Flickr tutti gli aspiranti fotografi possono mettersi in mostra e così via, in infinite possibilità e siti. Ma su Facebook, una delle piattaforme di maggior successo del Web 2.0 con i suoi oltre 300 milioni di iscritti in tutto il mondo è così? Non proprio.
Negli ultimi tempi le regole di pubblicazione si stanno facendo sempre più stringenti e nella rete degli utenti censurati non cade solo chi viola palesemente la legge (per esempio con la pubblicazione di foto pedoporno) ma anche chi tenta di usare la creatura di Mark Zuckerberg (che nel 2004, da studente dell'Università di Harvard, mise in piedi il social network) per motivi del tutto legittimi e innocui.
E' quello che è per esempio successo a un utente italiano che qualche settimana fa ha provato a condividere su Facebook la notizia del quotidiano inglese 'The Times' (smentita dal governo italiano) secondo la quale l'Italia avrebbe pagato delle tangenti ai talebani in Afghanistan. Non appena ha provato a inserire il link che portava all'articolo del sito del giornale britannico, l'account è stato sospeso. Nessuno degli 'amici' digitali poteva più accedere al suo profilo che non si poteva più aggiornare con l'inserimento, per esempio, di nuovi 'status' o immagini. Il tutto perché, come diceva il sistema, era "stata rilevata un'attività sospetta nel tuo account Facebook, che è stato temporaneamente sospeso come misura di precauzione".
Nelle ore successive l'account è stato riattivato. Ma per ritornare in pubblico l'utente ha dovuto cambiare password. E soprattutto non gli è mai arrivato alcun messaggio che gli comunicava il motivo dell'immotivato blackout. 'L'espresso' ha dunque provato a chiedere spiegazioni a Facebook dell'accaduto, ma dal neonato ufficio commerciale italiano non è arrivata alcuna risposta. Neanche da Dublino, dove invece ha sede il quartier generale europeo del social network, sono state fornite delle spiegazioni chiare
Ma, almeno lì, abbiamo trovato un interlocutore che ha prestato attenzione alle nostre domande. Elizabeth Linder dell'ufficio comunicazione ha detto che, "se gli utenti trovano sul sito dei contenuti che secondo loro violano i termini di utilizzo, possono segnalarcelo: controlleremo i contenuti e li rimuoveremo se opportuno". In altre parole qualcuno ha segnalato che il link del 'Times' violava le condizioni di utilizzo e lo staff di Facebook ha ritenuto di oscurare temporaneamente l'account in questione. In realtà, leggendo i termini di Facebook, i contenuti dell'articolo in questione non infrangevano alcuna 'norma' del codice del social network come "Non denigrare, intimidire o molestare altri utenti" oppure "Non usare Facebook per scopi illegali, ingannevoli, malevoli o discriminatori".
Il problema è che quello che è successo per il link al 'Times' non è un caso isolato. Anzi: è ormai sempre più frequente su Facebook che utenti di tutto il mondo vedano i loro account oscurarsi. I temi che mettono di più in guardia lo staff di Facebook (con sospensioni temporanee o permanenti) sono tre: politica, sesso o questioni non ben definite dal punto di vista legale come la pirateria on line.
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