loading...
Visualizzazione post con etichetta Roma. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Roma. Mostra tutti i post

giovedì 23 agosto 2012

Città d'arte e di Wi-Fi




Roma, Firenze, Torino, Venezia: città d'arte e di Wi-Fi

Il turista straniero, molto più abituato ai servizi multimediali di quanto non lo sia quello italiano, con la diffusione di punti di accesso alle reti Wi-Fi e l'aumento del tasso di connettività nelle città d'arte ha un motivo in più per visitare il Bel Paese.

 Gli amministratori di molte città d'arte italiane, meta ogni anno di milioni di visitatori da tutto il mondo, stanno cercando di essere al passo con i tempi e di fornire una connessione Wi-Fi, attraverso hot spot pubblici, almeno nelle aree più battute dai turisti. A Roma è possibile agganciarsi alla Rete passeggiando a Villa Borghese come a Villa Ada, in Piazza Navona come in Piazza di Spagna. Grazie ai progetti promossi dal Comune e dalla Provincia, nella “città eterna” gli “hot spot” Wi-Fi sono oggi oltre 500. Anche a Torino e Firenze, grazie ai progetti attivati nel corso degli ultimi anni, è possibile navigare gratuitamente in buona parte dei centri storici e nelle piazze e strade dove si trovano le gallerie d'arte e i musei delle prime capitali d'Italia.

Il Comune di Venezia, con il progetto “cittadinanza digitale”, ha invece pensato bene di trasformare la crescente domanda di connettività da parte dei turisti in un offerta di navigazione gratuita per i veneziani, che si sono già registrati alla rete di hot spot WiFi in dieci mila. Se il visitatore occasionale è tenuto a pagare per accedere all'infrastruttura di rete della laguna, basata su fibra ottica e wireless, il servizio è totalmente gratuito per i residenti e per i “city users”, ossia per tutti gli studenti e i lavoratori che svolgono la propria attività nella Serenissima.


-


.
 .
 .

-

venerdì 2 luglio 2010

L'etica hacker si incontra a Roma


L'etica hacker si incontra a Roma

Al centro sociale La Torre il raduno nazionale degli hacker giunto alla sua tredicesima edizione. Tre giorni per discutere di tecnologia liberata ma non solo.

Che c’entra l’informatica con un casale occupato immerso nel verde dell’agro romano? In apparenza nulla. E allora come mai l’Hackmeeting, incontro nazionale delle controculture digitali, quest’anno si tiene al centro sociale La Torre dal 2 al 4 luglio? Se si va a scavare nella storia del movimento hacker, si scoprirà che tra un Gruppo di acquisto solidale e il laboratorio informatico di un centro sociale ci sono molte cose in comune.
Nel linguaggio comune, «hacker» significa pirata, truffatore. Così lo hanno presentato gli «esperti» da quando i computer sono usciti dai circuiti delle università e dei militari, per diventare l’oggetto più utilizzato nella nostra vita, un compagno di lavoro e di svago, un elemento di cui non riusciamo più fare a meno. Ma come racconta Steven Levy in «Hackers» [Shake Edizioni, 1997], hacker è chi costruisce cose «inutili», nel senso di immisurabili secondo i canoni dell’economia capitalistica. Il computer domestico, che è all’origine della rivoluzione informatica consumatasi negli ultimi decenni, è nato come oggetto estraneo al profitto, è stato fabbricato in casa assemblando pezzi recuperati. Il Pc vero è proprio è arrivato dopo, quando le compagnie commerciali si sono appropriate dell’idea e l’hanno venduta a tutti, ma chiusa, da un marchio di proprietà. E allora gli hacker si sono messi a lavorare perché quello che era di tutti tornasse di tutti. Ecco perché l’etica hacker prevede che si intrufoli dentro i meccanismi che regolano le nostre vite, che si cancelli tendenzialmente sempre più la differenza tra produttore e consumatore e si diffondano filiere indipendenti di produzione e distribuzione di merci immateriali e di tecnologia. Dentro questo immaginario, che è influenzato sia dalle esperienze di autoproduzione e altra economia che dagli scenari di tecnologia post-apocalittica della letteratura steampunk [una specie di cyberpunk decadente], si muove la nuova scena hacker italiana che si incontrerà a Roma.
Tutti i partecipanti al meeting, gelosi della propria privacy, utilizzano dei nickname, soprannomi per crearsi un’identità in rete. Deckard, uno degli organizzatori dell’incontro, ha preso in prestito il suo nickname dal celebre racconto «Ma gli androidi sognano pecore elettriche?», di Philip Dick, da cui è tratto il film «Blade RunnerSpiega: «L’hackmeeting è l’incontro delle comunità, delle controculture digitali e non, e delle individualità che si pongono in maniera critica e propositiva rispetto all’avanzare delle nuove tecnologie, sempre più legate a doppio filo al controllo sociale, alle imprese belliche e alla commercializzazione di ogni spazio vitale».
A un altro degli organizzatori, Yattaman, chiediamo di ragionare sul titolo dell’incontro: «Controllo e resistenza». «Le tecnologie rappresentano strumenti di controllo, permettono di catalogare e monitorare ogni aspetto della vita quotidiana – spiega Yattaman – Pensa alle telecamere intelligenti, in grado di distinguere i movimenti ‘sospetti’ delle persone o alla tracciabilità di tutte le transazioni effettuate con carte di credito e alle tessere del supermercato, che monitorano i nostri consumi. Tuttavia, le tecnologie sono anche grande strumento di resistenza. È possibile sottrarsi a questo controllo. Ad esempio, criptare la posta elettronica con alcuni programmi gratuiti scaricabili in rete. La tecnologia si può usare anche per rovesciare i mezzi e i modi della produzione, ridando valore alla collaborazione, al bene collettivo e alla condivisione. Così è nato il software libero. Che dimostra che si possono scrivere programmi e sistemi operativi migliori e più efficienti di quelli prodotti dalle grandi multinazionali semplicemente dando valore alle persone invece che ai soldi».
Parole come free software, copyleft e peer-to-peer, che oggi fanno parte del linguaggio corrente, indicano un approccio alla rete incompatibile con le leggi del mercato. Ma dall’hackmeeting ci tengono a far sapere che questa etica non riguarda solo la tecnologia. «Essere hacker non ha strettamente a che fare con i computer – dice ancora Yattaman – È un’attitudine alla curiosità, alla sperimentazione. Significa essere consapevoli e disposti a condividere le proprie scoperte con gli altri. In questo senso possiamo considerare un hacker un ricercatore che studia energie alternative, per esempio. O anche un ragazzino che prova a fare il giornalino di quartiere con gli amici. Ecco perché parleremo anche di orti urbani».
Se la grande battaglia contro il diritto d’autore e la rete targata Microsoft negli anni novanta è stata in parte vinta, adesso si punta il dito contro i social network. «In questi ultimi due anni non si è fatto altro che parlare di social network – dice Yattaman – Poche grandi aziende posseggono giganteschi archivi di dati. Finché l’azienda si limita a usare tutto questo per mettere un po’ di pubblicità, la cosa può sembrare casomai spiacevole e fastidiosa ma sostanzialmente innocua. Ma che succede se un database del genere finisce in mano a una autorità che vuole individuare alcune categorie di persone, tenerle sotto controllo e colpirle un po’ per volta? Il database di un social network è uno strumento potentissimo, una miniera di informazioni, un fucile puntato. Non basta sperare che nessuno mai prema il grilletto. C’è scarsa consapevolezza su questi temi. Ovviamente, si aprono sempre nuovi spazi nella rete. Tra le cose più interessanti degli ultimi tempi ci sono le wireless mesh network: si tratta di un tipo di rete senza fili cooperativa, realizzata con il collegamento a catena di computer con delle semplici schede di rete wireless. Il sistema permette di realizzare delle vere e proprie reti alternative a internet, in cui tutti i partecipanti sono allo stesso tempo utenti e fornitori del servizio». Anche di questo, si parlerà all’hackmeeting.

DI : Gianfranco Vento

-


.

domenica 5 aprile 2009

A Roma la festa dei pirati del web



A Roma la festa dei pirati del web
di Alessia Grossi



C’è chi lo fa per altruismo e per far conoscere di più la musica che ama. Resta il fatto che «l’upload», cioè la condivisione di musica, video, file in genere, in Internet «è l’attività illegale animata da una moralità ben più articolata del semplice tornaconto personale» stando ai dati dell’University Of Herthfordshire. Morale molto più diffusa di quello che si potrebbe pensare. I 2/3 del traffico internet a livello mondiale è generato da protocolli p2p.

Insomma, «siamo tutti pirati», anche in Italia. Per questo sabato a Roma al Teatro delle Arti in piazza Giovanni da Triora, la comunità dei pirati si riunisce in una festa (http://www.no-copyright.net/ ) evento, provocazione culturale, ispirato dall’uscita del libro «La Baia dei pirati - Assalto al copyright» di Luca Neri (Cooper Editore).

Ad organizzare la giornata di eventi, dibattiti, spettacoli multimediali e laboratori tecnici divulgativi la rivista Loop, Frontiere Digitali, Partito Pirata, Comunità di p2p Tnt Village, Linux Club Italia, Free Hardware Foundation, Reef, Artisti Open Source, Cooper editore, Lpm e FlxEr.

Osptiti d’onore gli svedesi Magnus Eriksson e Johan Allgoth, cofondatori di The Pirate Bay, la comunità di pirati, diventata anche un partito politico nel loro paese che alla vigilia dell’evento si godono un giro nella capitale pronti a spiegare ai pirati nostrani come sono riusciti a divulgare e far comprendere la tematica della Rete aperta.

«Un po’ noi stiamo piratando le loro idee – ci spiega Luca Neri - ma in Italia siamo ancora molto indietro. Non si è ancora compresa l’accezione positiva del termine “pirata”. C’è chi pensa che la Rete sia un luogo chiuso e che siano in pochi quelli che nelle loro stanzette davanti ad un monitor si scambiano file».

Numeri a parte quella di sabato è una Festa che ha, prima di tutto, un intento divulgativo. «Ci piacerebbe spiegare a tutti quelli che scaricano file da Internet con il solo intento di risparmiare che la Rete condivisa e il p2p ha ben altre potenzialità. Ci piacerebbe che si cominciasse a farlo con più consapevolezza e senza nascondersi».

Ma quali sono le potenzialità della Rete aperta? L’autore del «La Baia dei Pirati» non ha dubbi. «Il p2p è davvero una rivoluzione simile a quella della stampa. Anche perché – spiega – la Rete è nata libera e la grande capacità di Internet è quella di rendere tutti uguali. Il p2p, cioè lo scambio dei files, è il potenziamento di questa caratteristica. Il p2p non bada alla diversa potenza dei computer, non importa se dietro il monitor c’è un ricco o un povero, se uno vive in un paese sviluppato o no. Se hai Internet e vuoi condividere puoi farlo, la Rete è per sua natura egualitaria».

Questa è la visione positiva. Poi c’è quella negativa. «Quella negativa è che chi condivide file ruba qualcosa. Per quanto riguarda la musica a perdersi sono solo 4 grandi multinazionali che rischiano di non guadagnarci più ed è per questo che si oppongono. In Svezia non è già più così. I pirati sono buoni, non cattivi. Ma in Italia dove si sta pensando di mettere delle restrizioni alla Rete non si capisce che così facendo si limita la potenzialità della Rete» spiega Neri.

Cioè? «Cioè, per limitare il p2p si deve andare ad scavare nei pacchetti di dati che si scambiano in Rete – continua Luca Neri – questo significa utilizzare mezzi tipici dei sistemi totalitari e snaturare la natura stessa di Internet che nasce libera».

Insomma, per i pirati buoni lo scambio in Internet è una rivoluzione. O meglio, come dice lo stesso Neri è «la rivoluzione da cui stanno già partendo altre rivoluzioni. Perché lo scambio così come la condivisione senza vincoli restrittivi attiva e fa esplodere il talento, il progresso, l’evoluzione». Altro che pirati o ladri, dunque. «Non c’è da vergognarsi, siamo il futuro» conclude Neri. Basta esserne consapevoli.

.-


.
loading...
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...

sconti per Te

Sosteniamo Mundimago

Segui RIFLESSI da Facebook

Segui RIFLESSI da Facebook
Siamo anche qui

Seguici da FACEBOOK

Seguici da FACEBOOK
siamo anche qui

Post più popolari

Elenco blog AMICI