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mercoledì 25 gennaio 2012

La Silicon Valley frodava i lavoratori



La Silicon Valley frodava i lavoratori


Si terrà domani la prima udienza per la class action intentata dai dipendenti contro Google, Apple, Pixar, Lucasfilm, Adobe, Intel e Intuit. Le sette compagnie sono accusate di aver fatto cartello per non contendersi i dipendenti, scambiandosi informazioni sulle intenzioni di cambiamento dei rispettivi addetti e limitando la possibilità di negoziare al rialzo gli stipendi.

Domani si terrà la prima udienza per la class action che vede sul banco degli imputati sette aziende della Silicon Valley: Google, Apple, Pixar, Lucasfilm, Adobe, Intel e Intuit, accusate di avere fatto cartello per non contendersi i dipendenti, per informare le altre se qualcuno avesse cercato di cambiare lavoro, senonché per limitare la possibilità dei candidati di negoziare al rialzo gli stipendi.
L'indagine del Dipartimento di Giustizia statunitense era iniziata nel 2010, quando diversi dipendenti delle suddette aziende avevano segnalato le politiche scorrette nei loro confronti. Le indagate non avevano negato di essere in combutta, anche perché c'era una fitta corrispondenza che dimostrava il dolo. I dirigenti si erano giustificati adducendo "accordi bilaterali" di routine, ma pur di evitare la causa le sette big avevano sottoscritto un accordo con il Dipartimento in cui assicuravano la cessazione dei cosiddetti "no poach agreements".


Prendono il via domani le udienze per la class action contro sette big della Silicon Valley

La questione sarebbe stata chiusa se non fosse che nel maggio scorso  un ex ingegnere di Lucasfilm ha depositato una nuova denuncia, questa volta non per cospirazione come la precedente, ma per cartello, e subito si sono accodati gli altri che reputano di essere stati danneggiati. La richiesta è un risarcimento danni da retribuire a ciascun dipendente che abbia lavorato per una di queste sette aziende per almeno 4 anni consecutivi.
Dato che le retribuzioni sono uno degli argomenti al centro di questo procedimento legale, è interessante sapere che i livelli degli stipendi su cui sono allineate le sette big che siederanno al banco degli imputati non sono propriamente da fame. Stando a un articolo pubblicato proprio ieri sul Wall Street Journal, il livello medio annuo delle retribuzioni delle aziende di informatica della Silicon Valley supera i centomila dollari annui.
Ovviamente si tratta di una media onnicomprensiva che tiene conto, per fare un esempio, anche del lussuoso stipendio di Tim Cook. In ogni caso gli stipendi sono lievitati in media del 5,2% nell'ultimo anno, superando l'aumento del giro di business del settore, che è stato del 2 per cento.
Oltre agli stipendi non sono da dimenticare i bonus, di gran moda negli states: negli ultimi 12 mesi si stima che siano lievitati del 13%, per un valore nell'intorno di 12.450 dollari . Il problema quindi non sono i soldi, in una economia spinta dalle IPO e dalle quotazioni di borsa sempre più in crescita, quanto la mancanza di personale qualificato. Più di un imprenditore lamenta il fatto che se si trovassero le persone giuste sarebbero assunte al volo.
Gli stipendi d'oro non tolgono nulla alla richiesta di risarcimento danni nella class action che parte domani, anzi. Chiunque ha il diritto di cambiare posto di lavoro per migliorare la propria posizione, per crescere professionalmente con esperienze diverse e, perché no, di contrattare uno stipendio migliore. Sta poi al datore di lavoro valutare la richiesta in funzione delle competenze, ed è illegale rifiutarla in virtù di accordi di non concorrenza.

 di Elena Re Garbagnati

 http://www.ictbusiness.it/cont/news/la-silicon-valley-frodava-i-lavoratori-class-action/28204/1.html


 . MisterDomain.EU .

martedì 28 settembre 2010

Talenti italiani nel tempio della Silicon Valley


Silicon Valley



l successo dei talenti italiani nel tempio della Silicon Valley
Negli Usa si moltiplicano le organizzazioni che puntano a valorizzare il genio dei ricercatori provenienti dal nostro paese. Tante le analogia con Israele, che con una politica di promozione ha conquistato i primi posti nel mondo per la produzione di brevetti

di PAOLO PONTONIERE

SONO molte le iniziative che puntano a collegare le esperienze emergenti italiane nel campo di internet e della ricerca informatica alle attività dei ricercatori italiani negli Stati Uniti e agli invenstimenti dei capitalisti di ventura americani, e che stanno riscuotendo grande successo negli Usa. Tanto da far pensare che l'imprenditoria digitale italiana possa emergere a sorpresa dalle fasce laterali della ricerca internazionale - come accaduto in Israele - per diventare un motore di innovazione planetaria.

Una di queste iniziative è, ad esempio, quella promossa dalla fondazione Mind The Bridge, una no-profit fondata da talenti italiani della Silicon Valley, per valorizzare proprio il capitale intellettuale delle nuove imprese italiane. La Fondazione organizza una competizione nazionale alla quale le startup di casa nostra partecipano per poi potersi presentare ai principali investitori americani. Un "elevator pitch" - così si chiama - attraverso il quale gli imprenditori di Silicon Valley cercano di convincere i capitalisti di ventura a finanziare la loro azienda o la produzione di un'idea. Come funziona: viene utilizzato dai dirigenti di un'azienda esordiente per cercare di convincere, in circa 30 secondi, un potenziale investitore a finanziare una compagnia o un progetto commerciale, sottolineando allo stesso tempo cosa distingue la loro proposta da quello che si può già trovare sul mercato.

Arrivare a un elevator pitch al quale partecipano gli investitori della Klein Perkins Caufield & Myers, della Sand Hill Partners, della Khosla Ventures o di una qualsiasi delle altre grandi venture capital di San Hill Road - la strada di Palo Alto a maggior concentrazione di "venture capitalist" del mondo - non è cosa da poco. I progetti di molti innovatori vengono rifiutati ancor prima di atterrare sulla scrivania della segretaria. Figurarsi, poi, arrivare dall'Italia per un incontro esclusivo le vecchie volpi di queste superpotenze del mecenatismo industriale mondiale.

"E' proprio qui l'analogia con Israele - spiega Marco Marinucci, amministratore delegato di Mind the Bridge - il nostro scopo è quello di creare un collegamento diretto e permanente tra l'innovazione nel nostro paese e l'intelligenza italiana presente negli Usa, come hanno già fatto gli israeliani. Per potenziare sia le proposte che arrivano dall'Italia che la posizione degli operatori italiani presenti in America". L'esempio è stato già seguito da altri paesi europei come la Francia, la Germania e l'Irlanda, ma il caso di quello di Israele presenta delle caratteristiche importanti per quel che riguarda l'Italia.

Assente, fino agli inizi degli anni Novanta, dalla scena, nel campo della ricerca e sviluppo Israele, facendo leva sull'esperienza di ricercatori che si erano trasferiti nella Baia di San Francisco, è riuscita in poco più di un decennio a diventare una nazione che ogni anno produce un numero di brevetti superiore a quello prodotto da una qualsiasi delle varie potenze del G7. L'Italia è ultima in classifica, sia in termini di spesa pro capite in ricerca e sviluppo che nel numero di brevetti prodotti annualmente. Ma sebbene sul piano  dell'innovazione tra i due paesi esista un baratro, dal punto di vista socio-commerciale Israele e l'Italia sono molto simili. Registrano ambedue la presenza di una piccola e media industria dinamica e un tasso elevato, negli anni recenti, di fuga di cervelli.

Puntando sullo spirito imprenditoriale e sulla creatività delle sue aziende a conduzione familiare, e forte di una politica di investimenti pubblici in alta tecnologia, Israele è riuscita a far rimpatriare parte dei ricercatori che avevano scelto altri paesei e a lanciare numerose nuove aziende. "Nel passato le chiamavamo aziende a conduzione familiare, erano il volano della crescita del nostro paese - ha dichiarato Yoav Andrew Leitersdorf, fondatore di YL Ventures, intervenendo a Stanford alla startup organizzata da Mind The Bridge per celebrare i vincitori dell'elevator pitch di quest'anno - poi ci siamo resi conto che il loro ruolo era stato assunto dalle startup, sono loro che adesso spingono l'innovazione. Invece che un'azienda familiare oggi i giovani formano una startup". Così solo nel 2009 Israele ha investito quasi un settantina di milioni di dollari nel lancio di nuove "aziende giovani".

Quest'anno a spingere la creatività italiana negli USA sono state 5 startup che operano in ambiti commerciali molto variegati. La prima, la VRMedia, è il frutto di una ricerca condotta alla Scuola Superiore di Sant'Anna da un gruppo di precari universitari e opera nel settore della realtà aumentata. La seconda, la WhereIsNow, un sistema per l'aggiornamento automatico dei documenti digitali, è un'azienda sarda divenuta il simbolo della Sardegna che ce la può fare ed è stata fondata da due soci che (pur di seguire il loro sogno), hanno abbandonato un posto in una banca svizzera. La terza, la Fluidmesh Networks, creatrice di un sistema per la fusione, in un solo canale, di diversi metodi di videosorveglianza wireless, conta oltre 300 clienti in giro per il mondo ed è stata fondata da un gruppo di trentenni di cui alcuni hanno studiato all'MIT. La quarta, la Adant New Technologies, che produce le antenne per la prossima generazione di apparecchiature wireless, è nata dalla tesi di laurea di un italiano e ha già raccolto capitali di ventura; mentre la quinta, la TripShake Answers on the Go, che ha dato vita a un nuovo sistema di assistenza ai viaggiatori (un "social market for traveler" la definiscono i promotori), è stata fondata da un 27enne alla sua terza startup e che in Italia è considerato un guru di internet.

"I giovani Italiani non mancano di ideee geniali - osserva Fabrizio Marcelli, console italiano a San Francisco, introducendo le celebrazioni di Mind The Bridge alla Stanford University - sfortunatamente pagano lo scotto dell'incapacità del nostro paese di trasformare le idee in occasioni di richezza sia per il paese che per questi giovani". Ma dove fallisce lo Stato, intervengono le università e i privati. Si può dire che negli Usa, di sicuro in California, negli anni recenti c'è stato un vero boom di organizzazioni che hanno l'obiettivo di costruire ponti che colleghino l'innovazione italiana con quella di Silicon Valley e con l'industria americana. Oltre a Mind the Birdge ci sono Bridges To Italy, una no-profit fondata da Bianca delle Piane che ogni anno assegna anche un premio alla migliore scienziata italiana negli Usa; La Storia nel Futuro, un'organizzazione fondata dal docente genovese Paolo Marenco e che ogni anno organizza i Silicon Valley Study Tours, un tour delle maggiori aziende e centri di ricerca della Silicon Valley per giovani lauerati italiani nel campo dell'information technology, e BAIA, un'altra no-profit dell'area di San Francisco che punta a collegare l'imprenditoria italiana della California settentrionale con ricercatori, esponenti industriali e startup del nostro paese. Ora, il viaggio delle startup è diventato anche eco-compatibile: Green Voice, un periodico italiano dedicato alle energie rinnovabili, è nato con la missione di aiutare le startup italiane del settore energetico a rastrellare capitali di ventura in America.

 http://www.foldier.com/view/364b7a/cc07b2?


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