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domenica 2 maggio 2010

Quando la censura online è governativa



Quando la censura online è governativa

L'Italia svetta nella classifica dei Paesi i cui Governi più di frequente si rivolgono a Google per chiedere la rimozione di contenuti pubblicati online o l'accesso ai dati degli utenti, piazzandosi al settimo posto in termini di richieste di rimozione (prima di noi solo Brasile, Germania, India, Stati Uniti, Corea del Sud ed Inghilterra) e, addirittura, al sesto se si guarda alle richieste di dati personali (in questo caso dietro Brasile, Stati Uniti, Inghilterra, India e Francia).

Il Governo italiano, infatti, in soli sei mesi, tra il 1° luglio 2009 ed il 31 dicembre 2009 si è rivolto a Google 57 volte per chiedere la rimozione di informazioni e/o contenuti e ben 550 per avere accesso ad informazioni e dati personali degli utenti. Si tratta di dati, già a colpo d'occhio, ben poco lusinghieri e confortanti che divengono addirittura preoccupanti se si prova a leggere tra le pieghe delle statistiche pubblicate - sebbene tra mille cautele ed avvertenze circa il loro carattere poco scientifico e non esaustivo - da Big G.

Innanzitutto, infatti, è difficile sottrarsi dal constatare che il buon piazzamento dell'Italia nelle due classifiche appena pubblicate da Google è inversamente proporzionale a quello, egualmente poco lusinghiero, che il nostro Paese, ormai da anni continua a far registrare nelle graduatorie stilate dalle istituzioni UE e da ogni altro organismo internazionale in termini di diffusione delle risorse di connettività a banda larga. Ultimi tra i virtuosi e primi tra i viziosi verrebbe da dire con una battuta.

Analogamente se si guarda ai Paesi che ci precedono nelle classifiche di Google non ci si può sottrarre dal rilevare che il loro miglior piazzamento è facilmente spiegabile sulla base del fatto che si tratta di Stati con una popolazione enormemente superiore a quella italiana e/o comunque, nei quali, la disponibilità di risorse di connettività (Corea del sud ad esempio) e/o l'uso di Internet (USA o Germania ad esempio) non è neppure comparabile con il nostro. Ma andiamo oltre perché, appunto, è tra le pieghe delle classifiche appena pubblicate che si nascondono i dati più interessanti ed inquietanti.

Cominciamo, innanzitutto, con il dire che benché il noto principio del così fan tutti lo faccia apparire naturale, il fatto che in un numero più o meno elevato di casi, un'Autorità non giurisdizionale possa - in assenza di un processo e, dunque, di una decisione di un Giudice - domandare a Google di rimuovere un'informazione o un contenuto dalla grande agorà digitale è, di per sé, un dato preoccupante e difficile da accettare.

Non compete, infatti, al Governo - né a qualsivoglia ente o agenzia che ad esso risponda - decidere quali contenuti possano circolare in Rete e quali, invece, meritino di essere nascosti e/o consegnati all'oblio.
Decidere della liceità o illiceità della pubblicazione di un contenuto compete, invece, all'Autorità giudiziaria e/o a tutto voler concedere alle Autorità indipendenti, all'esito, in ogni caso, di un procedimento in contraddittorio tra chi ha interesse alla rimozione di un contenuto e chi ha scelto di pubblicarlo.

Leggendo le note pubblicate da Google a margine della classifica relativa alle richieste di rimozione ricevute dal nostro Paese, invece, si scopre che solo 16 su 57 sono pervenute dall'Autorità giudiziaria mentre le altre - a quanto è dato capire e sembra comunque ricavabile a contrario - proverrebbero dal Governo e/o da enti o agenzie da esso dipendenti.

Non resta, dunque - a voler credere che in relazione alle cose della Rete il nostro Paese non abbia del tutto abdicato ad uno dei fondamentali principi costituzionali - che sperare che nella nomenclatura globale di Big G le richieste delle Autorità indipendenti (Autorità Garante delle comunicazioni e Garante per la privacy) siano rubricate come istanze provenienti dal Governo e/o da soggetti da esso, in senso lato, dipendenti.

Resterebbe, peraltro, il fatto che richiesta non significa ordine e che, pertanto, la sensazione è comunque che le istanze del nostro Governo a Big G, abbiano avuto, nella stragrande maggioranza dei casi, un carattere di richiesta collaborazione e/o cortesia. Si tratta, ancora una volta, di un dato inquietante.

Se, infatti, ciò ha probabilmente consentito in un certo numero di casi di evitare il diffondersi di informazioni che non avrebbero, effettivamente, essere mai pubblicate è, egualmente, certo che in altrettanti casi la rimozione abbia riguardato ipotesi nelle quali la pubblicazione è stata semplicemente giudicata sconveniente e/o inopportuna dalle non meglio precisate Autorità di governo che ne hanno richiesto la rimozione con buona pace di ogni tutela della libertà di manifestazione del pensiero di chi quelle informazioni aveva voluto on-line. Ma c'è di più.

Google, infatti, nel pubblicare i suoi dati sulle richieste di rimozione ricevute dal Governo italiano, riferisce di essersi trovato d'accordo con tali richiese e di aver loro, dunque, dato seguito nel 75, 4% dei casi e di averle, invece, respinte nel rimanente 25%.

In un quarto dei casi, pertanto, non solo si sono indirizzate a Google richieste di rimozione non provenienti dall'Autorità giudiziaria - cui Big G non avrebbe, evidentemente, potuto dire di no - ma, addirittura, si sono trasmesse istanze ritenute da quest'ultimo tanto poco fondate da doverle rispedire al mittente.

Numeri a parte, i dati resi disponibili da Google consentono di trarre un'inquietante conclusione: spesso la sopravvivenza di un'informazione on-line e, con essa, il concreto esercizio da parte di milioni di cittadini della propria libertà di manifestazione del pensiero dipende da un pericoloso asse tra potere politico e potere economico che non può fare dormire sonni tranquilli a nessuno e che, soprattutto, proietta sulla Rete un cono d'ombra probabilmente più scuro di quanto ciascuno di noi non avrebbe immaginato.

È ovvio, peraltro, che tale ragionamento si intreccia in modo indistricabile alla questione della responsabilità degli intermediari della comunicazione per i contenuti pubblicati dagli utenti: più si continuerà a configurare - o tentare di configurare - tale responsabilità, più gli intermediari troveranno conveniente assecondare, in un numero più o meno ampio di casi, le richieste dei Governi ed evitare ogni grana.

Se questo è vero per Big G, gigante dalle spalle larghe è ovvio che è, a maggior ragione, vero per il piccolo provider che può rischiare molto meno. Ci sono troppi padroni e troppi interessi a governare le dinamiche dell'informazione online: se non si affronta il problema in fretta c'è il rischio di perdere una grande occasione e di scoprire che il domani che ci attende, contro ogni previsione, riserverà al free speech spazi ancora più limitati di quelli che ha sin qui avuto nell'impero della TV, della carta stampata e della Radio.

Avv.Guido Scorza
Link all'articolo:
http://www.facebook.com/l/1cfe7;www.wired.it/news/archivio/2010-04/26/quando-la-censura-online-e-governativa.aspx

A tutti grazie per l'attenzione,buona domenica.
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