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lunedì 26 luglio 2010

Uccidono le web tivù perche' danno fastidio a




In Italia ci sono circa 5.000 piccole emittenti in Rete. Ora governo e Agcom hanno messo a punto un regolamento per soffocarle. Ed evitare che diano fastidio a Mediaset


C'è la tivù che racconta l'Italia dal punto dei vista dei giovani e quella che denuncia i problemi degli immigrati. C'è la televisione nata in un appartamento e poi cresciuta fino a fare inchieste politiche locali. E poi c'è quella creativa, a basso budget, che prova a reinventare l'umorismo e l'intrattenimento.

Tutte queste tivù non le trovate sul digitale terrestre né sul satellite, ma solo sul Web. Chissà per quanto tempo ancora, però: su questa fucina di creatività e impegno sociale incombe infatti la scure del decreto Romani (da Paolo Romani, vice ministro allo Sviluppo Economico). Regolerà il fenomeno con criteri presi di peso dal mondo della tivù tradizionale. Che l'effetto sia censorio nei confronti delle Web tivù indipendenti è palese da quando l'Autorità Garante delle Comunicazioni (Agcom) ha scritto le prime regole attuative del decreto.

Agcom ha stabilito infatti che le Web tv prima di iniziare le attività debbano registrarsi pagando tremila euro e presentando una gran mole di documenti, con mega sanzioni per chi sbaglia qualcosa. Va anche peggio alle emittenti che fanno trasmissioni lineari (cioè con un vero palinsesto e non solo con video on demand): dovranno attendere 60 giorni un'autorizzazione di Agcom, prima di cominciare. "Le nuove regole trasformeranno Internet in una grande tv. Alla fine a fare video informazione e intrattenimento resteranno solo proprio i signori della tivù tradizionale", commenta Guido Scorza, avvocato tra i massimi esperti del tema.

Per essere soggetti al decreto basterà essere una Web tv che incassi qualcosa ("è sufficiente ci sia un banner pubblicitario", dice Giovanni Parrillo, dello studio Baker & McKenzie) o che "faccia concorrenza" alla tv tradizionale. Ipotizziamo che una micro tv no profit pensi di non essere soggetta alla normativa e quindi la ignori: "Il ministero potrebbe pensarla diversamente e multarla, da 15 mila a due milioni di euro", spiega Parrillo. "Poi la tv dovrà andare davanti a un giudice per dimostrare le proprie ragioni".

"Il decreto minaccia un mondo che solo ora comincia a sbocciare e che raccoglie circa 10-15 milioni di utenti-spettatori al mese", spiega Bruno Pellegrini, uno dei primi a scommettere sul fenomeno. È fondatore di The Blog Tv (6 milioni di fatturato previsto nel 2010), che sviluppa e gestisce una cinquantina di mini tv (tra le altre, PetPassion, MadeinKitchen, NokiaPlay e YouDem, rispettivamente 150 mila, 200 mila, 120 mila, 70 mila e 90 mila utenti unici al mese).

Sono circa cinquemila le Web tv italiane, stima Pellegrini. Una macro categoria in cui entrano quelle con canali lineari (cioè con palinsesto, poche centinaia) e quelle solo con video on demand (qualche migliaia). A parte ci sono i video-blog (poche decine di migliaia), che non sono vere tv ma pure sono assoggettati al decreto, e i social network fatti con video degli utenti (tipo YouTube). Il decreto sembra escludere questi ultimi, ma vi rientrano progetti come YouReporter.it, con inchieste fatte dagli utenti. "Abbiamo 25 mila spettatori al giorno e 13 mila utenti che caricano i video. La pubblicità ad oggi ripaga a malapena i costi", spiega Stefano de Nicolo, il fondatore.

La pubblicità è appunto la principale fonte di ricavo per le Web tv, ma una minoranza guadagna pure da video fatti su commissione di aziende e pubbliche amministrazioni. Un'altra minoranza non ha alcuna fonte di ricavo. "Il mercato potenziale del settore è di circa 10 milioni di euro l'anno, escludendo i portali come YouTube e quelli delle grandi reti", stima Pellegrini. Poca roba, ma comunque un segmento destinato a crescere anche da noi, rosicchiando fette di mercato ai broadcaster tradizionali: e di qui il sospetto che tra le motivazioni che hanno portato il governo a tarpare le ali alle web tv ci sia anche il desiderio di proteggere Mediaset, che tra l'altro è particolarmente attiva nella riproposizione dei suoi programmi in Internet con un apposito videoportale.

Negli Usa, ad esempio, queste mini reti hanno già 150 milioni di utenti video online previsti nel 2010 (da eMarketer): "Quest'anno lì è suonato un grosso campanello d'allarme per la tv tradizionale. Il consumo tipico di Web tv è passato nelle ore serale ed è diventato di 15 minuti al giorno (nel 2009 era a pranzo e di 3-5 minuti)", aggiunge Materia.


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