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domenica 31 luglio 2011

Frequenze tv, dal governo regalo a Mediaset



Frequenze tv

dal governo regalo a Mediaset


l’Unità.

L’eterno Natale di Mediaset porterà ad una strage digitale. Una strage di tv locali, per la precisione, che subiranno quello che si configura come un vero e proprio esproprio di frequenze televisive. Non solo. Alle emittenti verrà negato il diritto di ricorrere alla giustizia amministrativa: chi si ribella, si troverà in casa la polizia, con la prospettiva di tre anni di carcere.

Autore di questa nuova trovata «ad aziendam» il ministro Paolo Romani, con un meccanismo che de facto risarcisce l’azienda del premier del maxi- risarcimento dovuto alla Cir di De Benedetti con un cadeau da 300milioni di euro, il tutto a scapito dell’emittenza locale. Il meccanismo è semplice (e, a suo modo, feroce): a settembre si terranno due gare per l’ulteriore assegnazione di frequenze digitali, di cui la prima riservata agli operatori di telefonia mobile, mentre la seconda è un beauty contest (cioé un “concorso di bellezza” al posto di un’asta competitiva) per sei super- frequenze digitali, in grado di trasportare ciascuna sei canali televisivi. In pratica, saranno i concorrenti dai punteggi più alti per quel che concerne requisiti tecnici e commerciali ad accaparrarsi (gratuitamente) l’ambito premio: è del tutto evidente che si tratterà di Mediaset e Rai.

«A scapito degli editori emergenti », rileva il deputato Pd Vinicio Peluffo, membro della commissione di vigilanza Rai. Che mette il dito nella piaga: «Le tv locali sono beffate due volte: i nove segnali destinati a essere venduti all’asta agli operatori di telecomunicazione erano stati assegnati alle tv locali solo sei mesi fa. Un regalo che vale 300 milioni. Pari alla metà della somma pagata all’Ingegner De Benedetti».

FORZE DELL’ORDINE
A fronte dell’esproprio, il ministro Giulio Tremonti – in un’ottima concertazione interna all’esecutivo – ha previsto un indennizzo che Peluffo definisce «poco più che simbolico », ossia 240 milioni da suddividersi tra tutti. E nell’ultima manovra appena varata il responsabile dell’economia ha pure inserito una norma che blocca la possibilità delle tv di ricorrere al Tar: «E se non saranno acquiescenti – spiega Peluffo – la polizia interverrà a blindare gli impianti, con l’avvio di procedimenti penali con reclusione di tre anni, addebito di danni e interessi nonché privazione del risarcimento. Una follia. Praticamente non si trattano così nemmeno gli squatter ». Appunto.

Ora, secondo le associazioni di settore l’esproprio riguarderebbe circa 200 emittenti. Le quali, nel loro complesso, sono già duramente segnate dal passaggio alle meraviglie del digitale terrestre. La promessa era stata quella di più spazio per tutti, con la magnifica prospettiva di maggiore pluralismo. Figurarsi: Rai e Mediaset hanno occupato l’occupabile, le tv locali sono state spinte nel fondo più buio della galassia digitale, più o meno alle cifre triple del vostro telecomando. Con un conseguente calo di ascolti e, in sovrappiù, una vistosa flessione dei fatturati pubblicitari, fagocitati pur’essi da Publitalia: che, avendo molto più spazio da offrire, spalmato su più canali, evidentemente ha allargato la sua concorrenza agli ambiti che finora erano di pertinenza delle private. Unastoria di straordinaria sopraffazione. Dove ha un suo ruolo anche un ulteriore convitato di pietra: la legge italiana, che stabilisce con chiarezza che un terzo delle frequenze digitali debbano essere destinate alle tv locali. Peluffo ride amaro: «Certo, è ovvio che così si apra la strada ad una caterva di ricorsi, perché siamo di fronte ad un vero e proprio mostro giuridico. Un’ennesima dimostrazione del conflitto d’interessi e del provincialismo italiano in campo televisivo, a fronte di un’Europa che ogni giorno ci chiede di aprire il mercato, non certo di introdurre ulteriori elementi distorsivi della libera concorrenza. Per questo, come già avanzato da Paolo Gentiloni, chiediamo al governo di assegnare queste frequenze agli operatori locali, già costretti a liberare la banda destinata all’accesso a Internet».

Chissà se Paolo Romani si ricorda dei bei tempi in cui gestiva Tvl Radiotelevisione Libera, la seconda emittente libera d’Italia, e poi quando, dal 1976 al 1985 fu il direttore generale di Rete A, o quando, dopo esser passato da Telelombardia, finì a dirigere Lombardia7 fino al 1995. Oggi, che spesso viene accusato di essere un po’ troppo vicino agli interessi di Mediaset, fa parlare di sé come aspirante strangolatore delle tv libere. Che dire: forse è solo la malattia senile del berlusconismo.


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