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mercoledì 6 giugno 2018

Nuova bufera su Facebook

Nuova bufera su Facebook

Mentre Facebook cercava di diventare il servizio di social media dominante nel mondo, ha raggiunto accordi che consentono ai produttori di telefoni e altri dispositivi di accedere a una grande quantità di informazioni personali degli utenti. Lo rivela il New York Times.

Facebook ha raggiunto partenariati per la condivisione dei dati con almeno 60 produttori di dispositivi - tra cui Apple, Amazon, BlackBerry, Microsoft e Samsung - nell'ultimo decennio, a cominciare dalle applicazioni di Facebook erano ampiamente disponibili sugli smartphone. Le offerte hanno consentito a Facebook di espandere la propria portata e consentire ai produttori di dispositivi di offrire ai clienti funzionalità popolari del social network, quali messaggi, pulsanti e rubriche.

Ma i partenariati, la cui portata non è stata precedentemente segnalata, sollevano preoccupazioni circa la tutela della privacy della società e la conformità con il decreto di consenso del 2011 della Federal Trade Commission. Facebook ha consentito al dispositivo di accedere ai dati degli amici degli utenti senza il loro esplicito consenso, anche dopo aver dichiarato che non avrebbe più condiviso tali informazioni con gli estranei. Alcuni creatori di dispositivi potevano recuperare informazioni personali anche da amici degli utenti che ritenevano di aver vietato qualsiasi condivisione.



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Scopri se sei stato spiato e i tuoi dati venduti ad aziende, in totale disprezzo della privacy, e magari fai causa, grazie al Codacons. In queste ore Facebook ha diffuso il link attraverso il quale gli iscritti al social network possono verificare se i propri dati e quelli dei propri amici siano stati utilizzati da Cambridge Analytica. Lo ricorda il Codacons che lo definisce “un passo fondamentale ai fini della class action promossa dal Codacons negli Stati Uniti a tutela degli utenti italiani”.
ECCO IL LINK PER SCOPRIRLO E FARE CAUSA.



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venerdì 4 maggio 2018

Linkedin festeggia 15 anni


Quindici anni fa si utilizzavano ancora i fax per mandare comunicazioni importanti. Ora si è costantemente connessi alle email, alle chat e ai social network: una rivoluzione che ha cambiato anche il modo di cercare (e trovare) lavoro. E uno degli attori principali di questa rivoluzione è LinkedIn, che in questi giorni festeggia i suoi 15 anni di vita.

E proprio l’Italia rappresenta la terza più grande community nazionale di workers 4.0 d’Europa con i suoi oltre 11 milioni di utenti presenti sulla piattaforma. L'Italia si colloca subito dopo Inghilterra (oltre 25 milioni di lavoratori presenti sulla piattaforma) e Francia (16 milioni), e prima della cosiddetta la regione Dach (composta da paesi come Germania, Austria e Svizzera), a quota 11 milioni di membri, e della Spagna, che si ferma a 10 milioni di utenti. La più grande rete professionale online del mondo ha raggiunto gli oltre 562 milioni di utenti a livello globale.

“Quando abbiamo aperto la sede italiana nel 2011 c’erano poco più di due milioni di iscritti al network -ha commentato Marcello Albergoni, Head of Italy di LinkedIn-. Poter annunciare oggi di aver quintuplicato questo numero in poco più di sei anni ci rende orgogliosi del nostro lavoro e di far parte di un progetto che ogni giorno aiuta milioni di persone ad avere successo nella propria carriera. Un risultato che ci fa capire come ciò che abbiamo fatto in questi anni sia stato davvero qualcosa di grande e importante e non vediamo l’ora di raggiungere nuovi traguardi, supportando sempre di più professionisti e aziende a farsi trovare e scoprire”.

Nato nel 2003 come la prima piattaforma di social media per professionisti, LinkedIn ha raggiunto 2.708 utenti nella sua prima settimana e due anni dopo questo numero si è trasformato in 2 milioni di lavoratori iscritti al network. Originariamente pensato per trovare lavoro in maniera semplice e creare connessioni, la piattaforma è diventata velocemente un posto dove i suoi utenti potevano interagire e discutere di argomenti importanti per loro e per il futuro delle loro carriere.

“Proprio come il mondo del lavoro, LinkedIn si è evoluto ed espanso negli ultimi 15 anni trasformandosi e adattandosi alla nuova era digitale, seguendo trend come la veloce crescita del settore tecnologico o il continuo sviluppo di segmenti dell’innovazione come l’intelligenza artificiale, il controllo vocale e la robotica -ha continuato Albergoni-. Come il numero degli utenti italiani presenti sulla nostra piattaforma è cresciuto rapidamente così anche la varietà delle professioni rappresentate è aumentata, evidenziando una grande propensione dei lavoratori peninsulari verso mondi come quello della finanza, della moda, delle startup e dell’industry 4.0, come emerso anche dalle nostre ultime ricerche".

"Un segnale questo che sottolinea come ormai il ventaglio di opportunità presenti sulla nostra piattaforma non si riferisca più a una singola categoria di lavoratori. Che tu sia un pilota o un insegnante di yoga, un venditore o un tester di birre hai a tua disposizione una community di oltre 11 milioni di persone in Italia e oltre mezzo miliardo a livello globale che possono aiutarti a raggiungere i tuoi successi professionali”, ha concluso Albergoni.


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lunedì 23 aprile 2018

I Social Network fanno Male alla Salute


Facebook può rendere più infelici e fa anche male alla salute. È l’impietosa diagnosi messa nero su bianco da uno studio pubblicato dall'American Journal of Epidemiology e citato dal Washington Post. Gli autori della ricerca hanno monitorato la salute mentale e le vite sociali di 5.208 adulti  per due anni, tra il 2013 e il 2015. Tutte le informazioni sulla loro salute, sulla loro vita e sull'uso di Facebook sono state monitorate giorno per giorno.
 La conclusione è che l'utilizzo di Facebook è strettamente legato a una salute fisica e psicologica peggiore: ad esempio, ogni volta che alla pubblicazione di uno status non corrisponde un numero di mi piace giudicato sufficiente, secondo lo studio, corrisponde un peggioramento del 5-8% dello stato fisico e mentale.    Facebook non ha incassato i risultati dello studio senza difendersi, e ha contro-citato uno studio della Carnegie Mellon University, secondo cui gli effetti di internet dipendono dalla quantità di tempo che l'utente trascorre on line.  E ha aggiunto che gli utenti che su Facebook hanno ricevuto più commenti e più “mi piace” godono di una soddisfazione sociale più alta dall'1 al 3% rispetto agli altri.     Altri due studi hanno puntato i fari sui social: uno studio condotto su 1.787 adolescenti americani mostra che i social hanno fatto aumentare il loro senso di isolamento, mentre l'altro realizzato su 1.500 giovani britannici ha evidenziato come i siti internet, in particolare quelli che si basano sulle immagini, hanno esacerbato i sentimenti di ansia e inadeguatezza. Ma perché l'attività on line sarebbe così dannosa? «La risposta - dicono i ricercatori - è che sostituire interazioni personali dirette con i contatti on line puo' minacciare la salute. Quello di cui la gente ha davvero bisogno è di amicizie e di interazioni reali».

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Parliamo degli oggetti reali connessi ad Internet, diversi dai computer e dai nostri cellulari. 
Frigo che informano sullo stato della spesa alimentare, lavatrici che possiamo attivare dal cellulare, sensori e videocamere che scrutano la nostra casa contro...




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sabato 14 aprile 2018

Quante Fake News hanno condiviso gli italiani durante le Elezioni


Una ricerca
L'Università di Urbino ha analizzato i post più condivisi 
nel corso della campagna elettorale. 
Ecco quali sono i temi più cari agli elettori. Con più di una sorpresa 

Fake news e satira hanno dominato tra le notizie più condivise sui social network durante l'ultima campagna elettorale italiana. Almeno cinque risultano essere 
non vere e una addirittura entra nella top ten.
Ha ottenuto un engagement totale di 142.000, l’articolo della  testata www.ilfatto.it (nulla a che vedere con  www.ilfattoquotidiano.it) con la notizia del ritrovamento in Sicilia di 500.000 schede elettorali già compilate. Storia totalmente priva di fondamento che però è al sesto posto per numero di condivisioni, reazioni e commenti. Così come quella pubblicata da Italia24ore.com di un senatore massacrato di botte da due disoccupati: engagement di 87.188.
La ricerca
È il primo quadro che emerge dal progetto “Mapping italian news 2018” del Dipartimento di Scienze della Comunicazione, Studi Umanistici e Internazionali dell’Università di Urbino Carlo Bo coordinato da Fabio Giglietto. Il progetto ha disegnato mappa della copertura mediatica su temi politici durante la campagna elettorale delle politiche del 2018 analizzando il livello di engagement prodotto intorno a queste notizie su Facebook e Twitter, stimando la tendenza politica delle diverse fonti e misurando il livello di polarizzazione  
delle audience online.

Quando Sanremo c'entra con la politica
Il rapporto mostra che gli argomenti arrivati all’attenzione degli italiani sui social e che hanno generato il maggior numero di interazioni, sfuggono all’ambito politico in senso stretto, ma hanno conquistato un posto centrale nella campagna elettorale. Il monologo di Pierfrancesco Favino 'La notte...', recitato dall’attore durante l’ultima serata del Festival di Sanremo, è arrivato in cima alla classifica delle notizie più condivise. Postato dalla Rai su Youtube e poi condiviso su Facebook, ha mosso un engagement totale di 433.939 interazioni.
A Favino segue Claudio Baglioni. Un articolo di viagginews.com riportava che il cantante aveva devoluto il suo compenso di Sanremo (700.000 euro) ai terremotati. Notizia che si piazza al secondo posto, ma risulta falsa o, quantomeno, inesatta. Quello devoluto da Baglioni non era infatti il compenso per la conduzione del Festival, ma per il concerto al Vaticano del dicembre precedente.

Chi coinvolge di più
A sviluppare più engagement, poi, sono state fonti dichiaratamente di parte che raggiungono volumi di interazioni pari o superiori nelle condivisioni su Facebook rispetto alle fonti propriamente giornalistiche. In testa ai siti che hanno prodotto le notizie con più engagement ci sono 'Il blog delle stelle e beppegrillo.it, seguiti da Repubblica  e Il Fatto quotidiano.
L’unico altro sito di partito tra i primi 25 come volume di interazioni è quello del Partito democratico (democratica.it), comunque molto inferiore ai concorrenti pentastellati, con un engagement totale di poco più di 1,6 milioni contro oltre 15 milioni.

Chi sono gli 'hyperpartisan' e quanto sono ascoltati
Sono in tutto otto le testate hyperpartisan a entrare in questa classifica con un volume totale di interazioni che sfiora i quattro milioni. Piattaforme non giornalistiche che, secondo la ricerca, lavorano per orientare l’opinione pubblica con contenuti di parte se non, addirittura, con notizie false create apposta per generare indignazione e promuovere  sentimenti “antisistema”. Tra questi siti spicca piovegovernoladro.info: ha totalizzato oltre 640 mila interazioni.



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lunedì 19 marzo 2018

Facebook Affonda a Wall Street


 Pesa lo scandalo di Cambridge Analytica 
Downing Street allarmata per abuso dati personali 

Facebook crolla a Wall Street dopo lo scandalo Cambridge Analytica. Il prezzo delle azioni del 're' dei social network è precipitato in apertura a Wall Street, influenzato dalle rivelazioni sulla violazione di milioni di profili di elettori americani da parte della società Cambridge Analytica. Pochi minuti dopo l'avvio delle contrattazioni alla Borsa di New York, il titolo ha iniziato a scendere in picchiata dove arriva a perdere il 7,50%,  trascinando giù il Nasdaq, l'indice dei principali titoli tecnologici. Facebook sconta sul mercato il clamore sollevatosi intorno a Cambridge Analytica, la società britannica di analisi e consulenza che avrebbe ottenuto in violazione delle regole stabilite dalla stessa piattaforma i dati di 50 milioni di utenti. I contorni della vicenda hanno iniziato a definirsi nel fine settimana, con la pubblicazione di due inchieste da parte di Observer e New York Times, e lo stesso social network ha proceduto già sabato a sospendere i profili dell'azienda di analisi dati e di Strategic Communication Laboratories (Scl), il gruppo al quale fa capo. A chiedere ulteriori chiarimenti, secondo quanto riportano i media americani, sono d'altra parte diversi membri del Congresso, da James Lankford dell'Oklahoma a Jeff Flake dell'Arizona. Un coro al quale si è unita anche la commissaria europea Vera Jourova, che via Twitter ha parlato di una vicenda "orripilante, se confermata", sottolineando che "non vogliamo questo nella Ue". Mentre la numero uno dell'autorità britannica per la protezione dei dati, la Information Commissioner Elizabeth Denham, ha emesso una nota per confermare che è in corso una indagine "complessa e di vasta portata". 

Downing Street intanto esprime "preoccupazione" per la notizia sulla violazione dei dati personali di 50 milioni di utenti di Facebook filtrati alla società di consulenza britannica. La vicenda ha spinto il governo di Londra ad anticipare il progetto d'interventi normativi più stringenti per la tutela dei dati sulle piattaforme online e per "mettere fine al far west dei giganti del Web". Secondo il 'Daily Telegraph', un Portavoce della May avrebbe riferito che la premier sarebbe favorevole ad una indagine ad hoc dell'Autorità di controllo del Regno sull'informazione sulle denunce della 'gola profonda' di Facebook che ha svelato il caso Cambridge Analytica.  "L'affermazione per cui si è trattato di una violazione dei dati è completamente falsa", ha precisato ieri sul sito di Facebook il vice presidente, Paul Grewald, mettendo l'accento sul fatto che le informazioni erano state ottenute lecitamente da Aleksandr Kogan, professore alla Università di Cambridge, attraverso la app "thisisyourdigitallife", che circa 270 mila utenti avevano scaricato liberamente per ottenere predizioni sulla propria personalità, fornendo in cambio accesso ad alcuni dati personali e preferenze, oltre a informazioni più limitate relative agli amici che avevano mantenuto aperte le impostazioni di privacy. Ad andare contro al regolamento, secondo la ricostruzione di Menlo Park, sarebbe stata la cessione nel 2015 di tali dati a una parte terza, Scl appunto, che in questi anni è balzata agli onori delle cronache per aver lavorato sul web alla campagna elettorale di Donald Trump e a quella referendaria in favore della Brexit. 

Una volta appreso quanto accaduto, sempre nel 2015, Facebook aveva rimosso la app e chiesto la distruzione dei dati, confermata dalla stessa Cambridge Analytica. "Diversi giorni fa, abbiamo ricevuto report che, al contrario di quanto riportato nelle certificazioni che ci erano state date, non tutti i dati sono stati distrutti", scrive ora Grewald, "ci stiamo muovendo aggressivamente per determinare l'accuratezza di queste affermazioni". "Cambridge Analytica rispetta pienamente i termini di servizio di Facebook ed è attualmente in contatto con Facebook in seguito alla recente comunicazione per cui ha sospeso l'azienda dalla piattaforma, in modo da risolvere la questione il più presto possibile", prova intanto a chiarire sul proprio sito la società britannica, spiegando di aver firmato nel 2014 un contratto per un progetto di ricerca su larga scala negli Stati Uniti con la società Global Science Research, che si era impegnata a ottenere dati solo in accordo con lo Uk Data Protection Act e ottenendo il consenso informato. "Quando successivamente divenne chiaro che i dati non erano stati ottenuti da Gsr in linea con i termini di servizio di Facebook, Cambridge Analytica ha cancellato tutti i dati che aveva ricevuto", si legge sul sito, nel quale la web agency sottolinea che nessun dato proveniente da Gsr è stato utilizzato "nell'ambito dei servizi forniti nell'ambito della campagna presidenziale di Donald Trump". 

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Tegola su Zuckerberg Lo scandalo si allarga. Stati Uniti e Regno Unito ora puntano il dito contro l'amministratore delegato Mark Zuckerberg. Elezioni Usa 2016, con la vittoria di Trump, e referendum Brexit sono stati "manipolati"???



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sabato 2 settembre 2017

Pubblica Bufale sugli Immigrati per avere più Clic



Pubblicava bufale sugli immigrati, denunciato 20enne a Caltanissetta:

 "Lo facevo per avere più clic"

Cosa non si fa per avere più clic al proprio sito. Anche inventarsi di sana pianta notizie, ovviamente 

false, sugli immigrati. "Dammi 1500 euro o qui succede bordello". 

Erano di questo tipo i titoli degli articoli 

che pubblicava, anche con largo seguito sui social network, il sito SC.eu. 


Ma la caccia al clic facile si è 

rivoltata contro un 20enne di Caltanissetta, che è stato denunciato 

per istigazione alla discriminazione razziale.

Ne danno notizia i giornali locali. Come scrive il Fatto Nisseno,

 il giovane "agli investigatori ha detto di 

non nutrire odio razziale, ma lo avrebbe fatto per avere più accessi nel suo sito guadagnando con i 

banner della pubblicità".

Le giustificazioni però non sono servite a risparmiargli una denuncia:

 il Compartimento Polizia Postale e 

delle Comunicazioni "Sicilia Orientale" si è mosso nei confronti del 20enne incensurato. 

Il sito è ancora 

online ma sono stati cancellati tutti i contenuti.

Il sito SC.eu pubblicava articoli che puntualmente venivano smentiti 

perché dai contenuti falsi o perché, 

traendo spunto da fatti realmente accaduti, li esagerava o forzava. Un esempio lo riporta il sito anti-

bufale "Bufale un tanto al chilo". Il sito S C aveva infatti diffuso, raggiungendo in rete più di 4mila 

condivisioni, la notizia falsa di un "ragazzino bruciato vivo perché cristiano a Catania".


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sabato 27 agosto 2016

Whatsapp apre alle Aziende

Whatsapp apre la porta alle aziende in una mossa che punta a fare cassa. La società, di proprietà di Facebook dal 2014, ha annunciato una modifica dei termini di servizio e dell'informativa sulla privacy - la prima in quattro anni - che le consentirà di far comunicare le aziende e i clienti attraverso la sua chat come già avviene su Messenger, altra chat di Mark Zuckerberg. Accanto a questo, Whatsapp "collegherà" i numeri di telefono degli utenti "con i sistemi di Facebook", in modo che il social network possa "offrire migliori suggerimenti di amici e mostrare inserzioni più pertinenti".


In un post sul suo blog, Whatsapp offre rassicurazioni al suo miliardo e più di utenti in merito alla privacy. "Anche se ci coordineremo maggiormente con Facebook nei mesi a venire, i messaggi crittografati rimarranno privati e nessun altro potrà leggerli. Né WhatsApp, né Facebook, né nessun altro", assicura la società. Gli utenti potranno scegliere di non condividere le informazioni con Facebook.

LEGGI ALCUNI TRUCCHI
UTILI E DA SAPERE

http://cipiri4.blogspot.it/2014/07/trucchi-per-whatsapp.html

GRATIS PER SEMPRE

http://cipiri4.blogspot.it/2016/02/whatsapp-gratis-per-tutti-per-sempre.html


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domenica 21 febbraio 2016

Umberto Eco e Social Network




Umberto Eco 
 Internet, Social Media e Giornalismo

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Umberto Eco: “Sui social legioni di imbecilli. Ecco perché saranno una fregatura”
Ricevendo la laurea honoris causa in Comunicazione all’Università di Torino, Umberto Eco, scomparso il 20 febbraio 2016 all’età di 84 anni, criticava ferocemente il Web e in particolare i social network (“diritto di parola a legioni di imbecilli”). Poi, sempre rispondendo alle domande di alcuni giornalisti, Umberto Eco difendeva la carta stampata citando Hegel: “La lettura del giornale è la preghiera quotidiana dell’uomo moderno. Si tornerà all’informazione cartacea”



Umberto Eco ed il web: viaggio tra legioni di imbecilli?

Umberto Eco ha fatto una dichiarazione che ha infiammato il popolo del web, e ne stanno tutt´ora parlando. A proposito di internet e l´uso che si fa del web,  in particolare sui social network ha testualmente dichiarato: "Hanno dato diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano solo al bar dopo due o tre bicchieri di rosso e quindi non danneggiavano la società", ha affermato il semiologo poco dopo aver ricevuto la laurea honoris causa in “Comunicazione e Cultura dei media” perché «ha arricchito la cultura italiana e internazionale nei campi della filosofia, dell’analisi della società contemporanea e della letteratura, ha rinnovato profondamente lo studio della comunicazione e della semiotica». È lo stesso ateneo in cui nel 1954 si era laureato in Filosofia: «la seconda volta nella stessa università, pare sia legittimo, anche se avrei preferito una laurea in fisica nucleare o in matematica», scherza Eco. 

Le frasi di Eco in proposito del web erano riferite alla sempre maggiore circolazione di bufale in rete, ed inevitabilmente hanno avuto ampio risalto, soprattutto sugli stessi social network dei quali parla il professore. Gli utenti hanno infatti iniziato a chiedersi: ha ragione o no?

La risposta non è certamente semplice, e questo perché Eco ha sia ragione che torto nello stesso momento. Bufale e teorie del complotto sono sempre esistite, internet gli ha dato soltanto un mezzo per diffondersi più velocemente e capillarmente. E la storia ci insegna che anche gli imbecilli sono sempre esistiti: i social network gli hanno semplicemente garantito un palcoscenico sul quale scrivere assurdità che prima, sui media, al massimo trovavano spazio nella posta dei lettori.

Il punto focale del discorso è un altro, ed è stato messo in luce dallo stesso Eco, anche se il risalto è stato dato quasi esclusivamente alle frasi riguardanti i social network: l´eventuale volontà di "togliere voce" agli imbecilli (che comunque hanno anche loro diritto di parola) non può che scontrarsi con la difficoltà, quando non l´impossibilità, di distinguere quali fonti siano affidabili e quali no. Perché se da una parte esistono conclamati siti dediti all´invenzione di sana pianta delle loro "notizie", anche i grandi nomi dell´informazione non sono certo esenti da topiche clamorose.

Molto, troppo spesso la necessità di dare una notizia prima degli altri (o, e questo è molto più triste, il bisogno di pubblicare un tot di articoli al giorno) porta ad uno scarso controllo delle fonti anche per chi del fornire informazioni ha fatto una professione. E confrontare le varie campane nel tentativo di capire dove stia la verità, come suggerisce Eco, non è semplice, sia per limiti di tempo che per il fatto che molto spesso anche gli organi di informazione tendono a rincorrersi, a volte "copiando" il compito del vicino di banco.

Ci sarebbe in questo caso bisogno di una "educazione ad internet", che potrebbe e dovrebbe partire dalle scuole dove, come spiega Eco, si dovrebbe "insegnare a filtrare le informazioni di internet, cosa che neppure i professori di solito sanno fare, perché anche loro sono dei neofiti rispetto allo strumento". 

«La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità», osserva Eco che invita i giornali «a filtrare con un’equipe di specialisti le informazioni di internet perché nessuno è in grado di capire oggi se un sito sia attendibile o meno». «I giornali dovrebbero dedicare almeno due pagine all’analisi critica dei siti, così come i professori dovrebbero insegnare ai ragazzi a utilizzare i siti per fare i temi. Saper copiare è una virtù ma bisogna paragonare le informazioni per capire se sono attendibili o meno». 

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martedì 17 novembre 2015

Funzione Facebook Safety Check Parigi sì Beirut no



Perché per Parigi sì e per Beirut no? 

Dopo gli attentati in Francia, Facebook ha deciso di attivare la funzione Safety Check. 
E  in 4.1 milioni hanno usato questa applicazione del social network per informare i loro contatti che stavano bene (in 360 milioni hanno ricevuto la notifica). 
Un esempio di come la tecnologia ci avvicini e ci permetta di far fronte al terrorismo? 
No, perché c’è chi ha trovato discriminatorio il comportamento di Facebook.



In un post condiviso più di 10 mila volte il blogger libanese Joey Ayoub ha criticato la disparità evidente nelle reazioni alle due serie di attacchi, sostenendo che i 40 morti dell’attentato di Beirut di giovedì non sono sembrati importanti tanto quanto quelli di Parigi. “Noi non abbiamo avuto un aiuto da Facebook, i francesi sì”, ha sottolineato Joey Ayoub.

Una polemica che è rimbalzata sui social network per tutta la giornata di domenica, mentre si contavano ancora i morti.

Ayoub non è stato l’unico a lamentarsi per questa discriminazione.  Come segnala La Stampa, il medico libanese Elie Fares ha criticato l’altra iniziativa di Facebook, ossia di introdurre la possibilità per i suoi utenti di modificare la foto del proprio profilo con il tricolore francese (dopo la sentenza della Corte Costituzionale Usa sui matrimoni era stata fatta la stessa cosa con la bandiera arcobaleno): “Quando la mia gente è morta, nessuno si è preoccupato di illuminare monumenti con i colori della nostra bandiera. Anche Facebook non ha pensato ad assicurarsi che i miei connazionali avessero il bollino con cui dichiarano di essere salvi, per quanto possa essere un fatto banale”.

Tuttavia, la critica di Facebook è stato tutt’altro che universale, il giornalista libanese Doja Daoud, intervistato da Al Jazeera ha spiegato  che il safety check non sarebbe stato così utile a Beirut come era a Parigi. “Può essere utile ma dobbiamo tenere presente che in Libano in caso di attacco la rete salta e nessuno potrebbe connettersi a Facebook”, ha spiegato.

Sia quel che sia, Facebook in Medio Oriente ha milioni di utenti. Una circostanza che ha spinto Zuckerberg a rispondere alla critiche: “Fino a ieri, la nostra politica è stato solo per attivare il controllo di sicurezza per le calamità naturali. Abbiamo appena cambiato e ora in programma di attivare la verifica di sicurezza per ulteriori disastri umani andando avanti così”, ha scritto. E ancora: “Ci prendiamo cura di tutte le persone allo stesso modo, e lavoreremo duramente per aiutare le persone che soffrono come molte di queste situazioni come possiamo.”

Il Safety check infatti è stato usato per la prima volta dopo lo tsunami in Giappone del 2011, tragedia che ha permesso di capire quanto fossero importanti le comunicazioni. Così via via, durante i terremoti in Afghanistan, Cile, in Nepal  come durante i cicloni nel Pacifico e nelle Filippine il safety check ha permesso alle persone di ritrovarsi e ha aiutato nella ricerca dei soccorsi. Ma mai prima di oggi per attentati o guerre. “Abbiamo deciso di attivarlo anche nel caso di Parigi perché abbiamo registrato un incremento delle attività sulla nostra piattaforma collegate a questo evento”, spiegano da Menlo Park. “Così abbiamo esteso il campo oltre i disastri naturali”. “Certo, c’è ancora molto lavoro da fare”, ha scritto su Facebook Alex Schultz, vice presidente del settore crescita di Facebook. “Nel caso di disastri naturali, applichiamo alcuni criteri che includono la vastità e l’impatto dell’evento. Quando una crisi è in corso, come una guerra o un’epidemia, Safety Check nelle sua forma attuale non è così utile per la gente, perché non esiste un momento preciso in cui l’evento inizia e si conclude e non è possibile sapere quando qualcuno è davvero al sicuro”.

Ma il dubbio in Medio Oriente resta. I morti siriani o libanesi valgono meno di quelli francesi?



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venerdì 14 agosto 2015

I Nuovi Analfabeti che Usano Facebook



I nuovi analfabeti che usano Facebook,  non sanno interpretare la realtà
Se chiudo gli occhi e immagino un analfabeta, penso ad una persona che firma con una X al posto del nome.
Ma sbaglio.
Un analfabeta, ci ha ricordato l’OCSE pochi giorni fa, è anche una persona che sa scrivere il suo nome e che magari aggiorna il suo status  su Facebook, ma che non è capace “di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità”.
Certo, sono due analfabetismi diversi: quello di secondo tipo si chiama analfabetismo funzionale e
riguarda quasi 3 italiani su 10, il dato più alto in Europa.

Un analfabeta funzionale, apparentemente, non deve chiedere aiuto a nessuno, come invece
succedeva una volta, quando esisteva una vera e propria professione – lo scrivano – per indicare le
persone che, a pagamento, leggevano e scrivevano le lettere per i parenti lontani.
Un analfabeta funzionale, però, anche se apparentemente autonomo, non capisce i termini di una
polizza assicurativa, non comprende il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico.


Non è capace, quindi, di leggere e comprendere la società complessa nella quale si trova a vivere.

Tre italiani su 10, ci dice l‘OCSE, si informano (o non si informano), votano (o non votano), lavorano (o non lavorano), seguendo soltanto una capacità di analisi elementare: una capacità di analisi, quindi,
che non solo sfugge la complessità, ma che anche davanti ad un evento complesso (la crisi economica, le guerre, la politica nazionale o internazionale, lo spread) è capace di trarre solo una comprensione basilare.
Un analfabeta funzionale, quindi, traduce il mondo paragonandolo esclusivamente alle sue esperienze dirette (la crisi economica è soltanto la diminuzione del suo potere d’acquisto, la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta il prezzo del gas, il taglio delle tasse è giusto anche se corrisponde ad un taglio dei servizi pubblici…) e non è capace di costruire un’analisi che tenga conto anche delle
conseguenze indirette, collettive, a lungo termine, lontane per spazio o per tempo.

Sarà che forse sono un po’ analfabeta funzionale anche io, ma leggendo i dati dell’OCSE ho subito
pensato ad un dialogo di qualche anno fa, tra me e una collega.
All’epoca ero una maestra della scuola primaria. Era una bella giornata di sole: io e la mia collega di
italiano avevamo portato le classi in terrazza per la ricreazione e parlavamo del più e del meno. Ad un certo punto mi è venuto in mente di consigliare alla collega di italiano la lettura di un libro che avevo
appena terminato e lei mi rispose, candidamente: Grazie, ma io non leggo libri.
Mai? chiesi.
Mai – rispose la collega – l’ultimo libro l’ho letto quando ho preso la maturità, perché dovevo portarlo all’esame. Non ho mica tempo, per leggere, e poi mi annoio.

Davanti ai dati dell’OCSE l’ex Ministro Carrozza si è affrettata a sottolinearne la drammaticità chiedendo una forte inversione di tendenza.
Ma, anche se all’allarme corrispondesse un reale investimento dell’attuale Governo – e, purtroppo, la
storia recente ci porta a dubitarne – quale diga fermerà il crollo verticale della cultura degli italiani, se a chi ci deve rappresentare e a chi ci deve insegnare non si impone di essere più preparato, e non meno preparato, del proprio popolo, dei propri impiegati, o della propria classe?
Non esiste cura, se i primi a rifiutare la complessità e l’approfondimento sono i nostri insegnanti, i nostri manager, i nostri politici.

La scuola italiana, da sempre fondata sul dogmatismo, ha visto annullate le proprie spinte verso un
insegnamento diverso, riducendosi alla trasmissione di competenze inutili, perché si dimenticano il
giorno dopo l’interrogazione, e che non insegnano a capire, ad analizzare, a criticare, a soppesare, a
riassumere.
Era il 1974, quando Sergio Endrigo, ispirandosi a Gianni Rodari, incise su un disco questo prologo
illuminante: Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio il 15 agosto del 1769. Il 22 ottobre del 1784 lasciò la scuola militare di Briennes con il grado di cadetto. Nel settembre del 1785 fu promosso sottotenente.

Nel 1793 fu promosso generale, nel 1799 promosso primo console, nel 1804 si promosse imperatore.

Nel 1805 si promosse re d’Italia. E chi non ricorderà tutte queste date, sarà bocciato!

Dal 1974 le cose, se possibile, sono generalmente peggiorate.
I parametri Invalsi – lo strumento Europeo per la valutazione delle competenze – sono diventati in fretta praticamente l’unica cosa che la scuola si preoccupa di insegnare, riducendo la lungimiranza
dell’insegnamento alla verifica in programma, all’esame di fine anno.
Ma cosa rimane fuori da una scuola sdraiata sui parametri Invalsi (per i quali, in ogni caso, non
brilliamo, come competenza, in particolar modo nel Sud Italia)?
Rimangono fuori proprio le competenze che fanno di una persona un cittadino attivo, e non un
analfabeta funzionale: la capacità di scegliere un libro interessante, e di immergersi nella lettura, la
scelta di comprare un quotidiano, la capacità di valutare le proposte economiche e politiche nella loro (grandissima) complessità.

Per rispondere all’allarme dell’OCSE questo paese deve ribaltare il concetto stesso di competenza.
Una scuola dogmatica è una scuola che respinge, e che insegna senza insegnare.
Una scuola che costruisce e valorizza le competenze, invece, è una scuola capace di accogliere, e di
insegnare gli strumenti di comprensione del mondo.
Un analfabeta può anche imparare a memoria che Napoleone Bonaparte nacque ad Ajaccio il 15 agosto del 1769, e che nel 1805 si promosse re d’Italia, ma non per questo avrà gli strumenti per accogliere ed analizzare la complessità della società in cui vive.
E anche lui, come i ragazzi che spesso la nostra scuola respinge – quelli che non vengono messi in
grado neanche imparare le date a memoria – rischia di entrare a far parte di quel folto gruppo per i quali la guerra in Ucraina è un problema solo se aumenta la bolletta del gas.

LEGGI ANCHE :  http://popovina.blogspot.it/2015/08/sai-litaliano.html



L'Italia è un paziente malato di mente. Malato grave.
Dal punto di vista psichiatrico, direi che è da ricovero. Però non ci sono più i manicomi”. Il professor Vittorino A...CONTINUA A LEGGERE http://cipiri.blogspot.it/2015/07/litalia-e-un-paziente-malato-di-mente.html




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venerdì 29 maggio 2015

Multa per chi Insulta su Facebook: "100 euro al giorno"



Multa per chi Insulta su Facebook: "100 euro al giorno"

Non toglie gli insulti su Facebook. Il giudice: 100 euro al giorno di multa 
L’estetista contro la parrucchiera rivale in affari 


Attenzione ad offendere qualcuno su Facebook: da oggi potreste pagarla molto cara. Secondo quanto deliberato da un giudice, infatti, gli insulti online potrebbero costare 100 euro per ogni giorno di permanenza sul social network


 Insulti su Facebook? Fate attenzione. Da oggi c'è una sentenza che potrebbe fungere da "pericoloso" precedente: quella con cui un giudice ha imposto il pagamento di una multa da cento euro per ogni giorno in cui gli insulti vengono lasciati online.

La storia arriva da Reggio Emilia, dove una giovane parrucchiera si è rivolta al giudice civile per ottenere la rimozione di alcuni insulti dal social network. La parrucchiera ha deciso di mettere in vendita - oltre che proseguire nella sua attività - anche prodotti di estetica, pubblicizzando la novità proprio su Facebook. Non troppo lontano, nello stesso paese, il post è stato ripreso dal compagno di una estetista che ha il suo negozio lì vicino.

Post ripreso ma ‘caricato’ di insulti, fino all’invito tutt’altro che gentile a “sputarsi in faccia da sola”. La parrucchiera ci è rimasta male, molto male. Ha sporto denuncia ai carabinieri, che hanno intimato all’insultatore da web di rimuovere i post. Primo tentativo andato a vuoto. Il secondo, per vie legali: ma la giurisprudenza non aiuta, non ci sarebbero prove che le cattive parole si riferissero a lei, alla parrucchiera accusata di “concorrenza sleale”.

Ma se la ‘semplice’ diffida alla rimozione ancora non bastava, ci ha pensato il giudice. Soluzione definitiva, e che effettivamente ha funzionato: finché l’insulto non viene rimosso l’accusato dovrà pagare una multa. Cento euro al giorno finché il post non verrà cancellato. Facile immaginare com’è poi finita: il post è subito sparito. Prima che il conto si facesse davvero salato.

 Facebook è per molti uno spazio dove dire quello che salta per la testa, senza limiti. Ma usando scorrettamente i social molti non hanno la percezione dei guai in cui possono incorrere. Così scattano le querele per ingiuria e diffamazione, che tuttavia hanno un ostacolo: non garantiscono la soluzione alla radice, togliere l’offesa.

E non tutti hanno gli strumenti di Selvaggia Lucarelli, la giornalista che giorni fa ha contrattaccato via radio pubblicamente il candidato leghista di un paese del Reggiano che l’aveva insultata sul web. La soluzione l’ha trovata un avvocato di Reggio, Stefano Manfreda, che ha ottenuto in via d’urgenza dal giudice civile Chiara Zompì un’ordinanza innovativa: la rimozione immediata da Facebook dei post dal contenuto offensivo verso una sua cliente e, in caso di non ottemperanza, la multa di cento euro al giorno per ogni giorno di ritardo.

La vittima è una giovane parrucchiera unisex titolare di un negozio in un paese dell’Appennino emiliano che, da noi contattata, così racconta: «Ho sofferto tantissimo quando si è andati sul personale, ci ho pianto». Da 12 anni si fa apprezzare nell’attività di acconciature uomo-donna ma di recente ha deciso di offrire un ulteriore servizio regolarmente autorizzato, la vendita dei prodotti di bellezza, trucchi e make-up. Vendita effettuata non solo da lei ma pure dalla vicina farmacia che nulla ha avuto da ridire. E pure da un negozio gestito in montagna da una estetista. Tutti connessi tramite Facebook.

SUL WEB, in ottobre, la parrucchiera ha pubblicizzato i nuovi prodotti. A questo punto ricostruiamo i fatti così come riportati dalla parte. Sul profilo del compagno dell’estetista viene ripreso il post dei trucchi pubblicato dalla parrucchiera con questo commento: «Ecco a voi la nuova estetista... quando si dice concorrenza spietata...» E ancora: «Vuoi un consiglio... appena puoi sputati in faccia da sola...» Diversi i «like», ciè i «mi piace» compreso quello della estetista.

Segue altro lungo pesante post. Che fare allora? Semplice. La parrucchiera va in caserma a sporgere querela. Il maresciallo chiama il destinatario e lo invita a interrompere la pubblicazione di quelle frasi e a nominare un legale di fiducia. E invece, è il racconto della parte, macchè. I post sono rimasti sul profilo personale. In post successivi, l’obiettivo degli strali diventerà un tale «Edward mani di forbice», il film interpretato da J. Dep.

A QUESTO PUNTO la parrucchiera si rivolge al legale. Vana persino la diffida dell’avvocato: l’interessato sosteneva che non si riferiva a lei. Di qui il ricorso urgente accolto dal giudice. All’udienza, il convenuto non si è presentato. Ma quando ha ricevuto l’ordinanza, con la sorpresa della multa per ogni giorno di futura mancata ottemperanza, ha chiamato il legale e rimosso le frasi. Oltre a dover pagare le spese legali.

di Mike Scullin


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giovedì 26 marzo 2015

Google : SEO e Posizionamento Siti Web

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Posizionamento Siti Web: I Primi passi dei servizi SEO
Cercando la frase Posizionamento siti web o “Posizionamento Google” etc.. e girando sul web si trovano molte guide e video su come fare SEO, e su come ottenere una posizione alta nei motori di ricerca.

Ecco alcuni tra servizi SEO e strumenti gratuiti reperibili online per verificare e posizionare un nuovo sito web (Google è preso come esempio, ma gli altri motori di ricerca si comportano in modo simile). Ho deciso di scrivere questo promemoria, per aiutarci verso un buon posizionamento nei motori di ricerca.Le tecniche sono pressoché simili per tutti i motori di ricerca;  qui' ho scelto Google (http://www.google.com/analytics/) in quanto è il più utilizzato.

Di seguito i 10 passi fondamentali che questa agenzia
 SEO (http://socialengagement.it/seo-ottimizzazione-per-i-motori-di-ricerca/) consiglia di seguire per verificare il sito, ottimizzarlo ed iniziare a posizionarsi in Google una volta lanciato il proprio sito online:

Iniziare a posizionarsi con i tools giusti

1. Google Analytics – Il primo passo da seguire è creare un account Google Analytics (http://www.google.com/webmasters/), ottenere un codice / ID di monitoraggio, ed inserirlo nel proprio sito verificandone così la proprietà. Per chi ha un sito in WordPress, basta inserire tale codice in Admin – Opzioni Tema – Strumenti Webmaster – Tracker Statistiche Sito.
In generale, comunque, esistono diverse guide online per verificare Analytics sul proprio sito, adatte ad ogni esigenza.

2. Google Webmasters – Il secondo passo è quello di iscriversi a Google Webmasters Tool e di collegarvi il proprio sito, validandone la proprietà. In questo modo si verifica con Google che il sito appartiene effettivamente al proprietario dell’account Webmasters. Questo ottimo strumento è tra i più efficaci per il posizionamento di un sito. Per gli utenti WordPress, ecco un ottimo video su come verificare il proprio sito in Google Webmasters Tools. Dopo la verifica, all’interno di Google Webmasters si possono trovare ottimi strumenti SEO gratuiti per migliorare il proprio sito ed il posizionamento online.

3. Sitemap – Una volta collegato verificato il proprio sito con Google (che ora troverà il sito in poco tempo, e non in mesi, come avverrebbe altrimenti) è buona regola per una corretta ottimizzazione inviare a Google una Sitemap del sito (ovvero un indice html contenente informazioni utili per i motori di ricerca). Per chi non sapesse come crearne una, un ottimo sito che permette di creare sitemap online in pochi secondi è (https://www.xml-sitemaps.com/). Una volta creata, la si può testare ed inviare a Google attraverso Google Webmasters.

Guadagnare posizioni con accortezze tecniche

4. Iscrivere il Sito a DMOZ (http://www.dmoz.org/)  sarebbe un altro passo importante per posizionarsi, in quanto questa directory di siti web è presa in considerazione dalla maggior parte dei motori di ricerca, e permette di dare più affidabilità al proprio sito e renderlo più “attraente” per le ricerche. E’ bene comunque leggere prima la guida, in quanto DMOZ ha criteri selettivi nella scelta dei siti da inserire nella sua open directory project (odp).

5. Favicon – Se ancora non è stata inserita nel sito, è importante inserire una favicon (ovvero l’icona che rappresenta il vostro brand ed è presente in ogni pagina del sito), in quanto è considerata negli algoritmi di ricerca ed è da tenere in conto. In questa guida (http://www.favicon.co.uk/) è spiegato come creare una favicon in wordpress, ma online vi sono guide adatte a tutte le esigenze. E’ infatti molto probabile che i motori di ricerca utilizzino anche questo fattore per stabilire la posizione di una pagina tra i risultati di ricerca.

6. Ridimensionare le immagini del sito – Altro passo importante per salire di posizione è quello di ridimensionare ed alleggerire le immagini del proprio sito, così da velocizzarne il caricamento delle pagine ed essere indicizzato meglio dai motori di ricerca all’interno del web. Inoltre uno dei fattori determinanti per la bounce rate (ovvero il tasso di rimbalzo, di utenti che entrano nel sito e vi escono dopo pochi secondi) è proprio la sua velocità (che dovrebbe aggirarsi tra 0,5 e 2 secondi). Un buon strumento per ridimensionare le immagini è Webresizer (http://webresizer.com/resizer/).

Sintassi ed errori dei siti web

7. Meta Tags – Le meta tags forniscono una descrizione di un sito web, ed è ciò che i motori di ricerca mostrano nella lista dei siti attinenti alla ricerca. Secondo alcuni, le meta tags non sono più altamente determinanti tra i fattori che influiscono sul ranking di un sito nei motori di ricerca. Tuttavia esse possono risultare un ottimo strumento per rendere il sito più fruibile agli utenti, permettendo di aumentare, se la descrizione è fatta bene, il tasso di utenti che cliccano sul risultato. Pur non essendo rilevante, la meta tag aiuta quindi gli utenti ad identificare un sito e decidere se è rilevante oppure no. Ecco quindi svelati dei trucchi per aumentare visibilità su google tramite meta tag. Per WordPress questa è una guida (http://codex.wordpress.org/Meta_Tags_in_WordPress) su come inserire meta tags.

8. Controllare gli errori (di scrittura codice, di link etc.) – E’ importante per un sito controllare errori presenti all’interno, soprattutto se appena avviato, in quanto i motori di ricerca ne tengono conto per individuare i fattori legati al posizionamento di un sito web. Link Checker (http://wummel.github.io/linkchecker/) è un buon programma per controllare gli errori nei link (interni ed esterni) di un sito. Per errori nel codice di scrittura si può invece utilizzare Validator.

Affermare il posizionamento

9. Collegare i social networkz (Hootsuite) – Al giorno d’oggi è ormai importantissimo che ogni sito web ottimizzato sia collegato ai social media più rilevanti per il proprio business. Questi possono essere Facebook, Twitter, Google+, Linkedin, Pinterest, Storify etc. e sono utilissimi per creare “Social Engagement”, ovvero per creare discussioni intorno ad un argomento ed attrarre nuovi utenti. Esistono degli strumenti online, di cui alcuni gratuiti, per gestire tutti i propri social media account attraverso una singola dashboard, decidendo cosa e dove e quando postare.
 Uno di questi è HootSuite (https://hootsuite.com/), famoso e in parte gratuito, che permette di gestire i propri social network insieme e con pochi click.

10. Content, Content, Content – L’ultima e più importante regola per posizionarsi, sia per un sito startup che per qualunque sito online, è la creazione di contenuti (possibilmente virali - http://it.wikipedia.org/wiki/Marketing_virale) che permettano ai motori di ricerca di capire che le pagine di un sito sono aggiornate spesso, e agli utenti di inviare link verso il proprio sito. La creazione di contenuti interessanti, che intrattengano e siano utili per gli utenti, permette di creare quel “Social Engagement” utile affinché sia i motori di ricerca che gli utenti online visitino il proprio sito più di frequente, ottenendo così con più semplicità la “call to action” sperata.

Esistono inoltre molti altri strumenti online (http://socialengagement.it/strumenti-seo/)  utili per la verifica della posizione effettiva e del posizionamento del sito in Google come in altri motori di ricerca.

Fare SEO oggi vuol dire anche promuoversi in modo da far crescere l’awareness sul proprio brand sia nella mente dei consumatori, che nei sistemi dei motori di ricerca. Alcuni consigli utili su come promuovere il proprio sito web si possono trovare sulla guida di Google alla SEO

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Nel video  sono illustrati altri consigli, questa volta da Maile Ohye di Google, con utili alcuni step SEO per startups.



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martedì 3 febbraio 2015

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